C’era una volta il Berghain di Berlino, forse la più famosa ed esclusiva discoteca techno del mondo. Entrare era una scommessa contro i buttafuori che selezionavano a loro piacere i clienti che, dopo code interminabili, potevano o non potevano entrare.
Poi è arrivato il COVID-19 e il Berghain, come molti altri locali in tutto il mondo, ha dovuto chiudere come parte di misure intese a limitare la diffusione del virus. Per sbarcare il lunario i proprietari hanno provato a spalancare le porte come galleria che ospitava i lavori di 115 artisti berlinesi. Altri locali della città, come il KitKatClub, hanno addirittura affittato il loro spazio ad aziende che fanno i test per il coronavirus.
Dove stare più vicini possibile l’uno con l’altro
In realtà, anche prima che venissero imposti i lockdown, discoteche e nightclub sono stati identificati come importanti vettori di infezione. Ma, a differenza di ristoranti e cinema, impossibile attrarre gente in una discoteca per stare lontani uno dall’altro. I ristoranti possono arrangiarsi con le consegne a domicilio, i cinema con proiezioni all’aperto o drive-in. Al contrario, un disco club senza una stretta vicinanza tra le persone perde qualsiasi ragione di esistere.
Purtroppo, anche le prospettive per i prossimi anni non sembrano buone. Nei paesi ricchi la pandemia potrebbe finire presto ma, con una popolazione che continua ad invecchiare, sempre meno persone andranno in discoteca. Secondo ibisWorld, nel decennio precedente la pandemia il numero di locali notturni si era già ridotto del 21% in Gran Bretagna e del 10% sia in America che in Germania.
Tra l’altro, le risposte che molte discoteche avevano trovato per contrastare questa crisi strutturale hanno peggiorato le cose. Per compensare l’impatto del calo delle presenze, avevano aumentato i prezzi di biglietti e bevande, cosa che le ha rese ancora meno popolari.
Tutti a Nairobi o a Marrakech
Con l’invecchiamento del mondo ricco, il centro del settore dell’intrattenimento musicale notturno si è ormai spostato nelle grandi città del mondo in via di sviluppo. Qui le persone sono più giovani, hanno un reddito disponibile che cresce e le normative per i locali sono meno rigide o comunque applicate meno rigorosamente. Ecco perché i grandi DJ, che negli anni ’90 andavano a Berlino, adesso sono ospiti dei club di Nairobi, San Paolo o Marrakech.
Inoltre, a differenza delle loro controparti nel mondo ricco, le discoteche dei paesi in via di sviluppo non sono state generalmente costrette a chiudere dai governi. Tuttavia, anche chi riuscirà a sopravvivere alla pandemia, che nei paesi poveri non finirà così presto come nei paesi ricchi, si troverà ad affrontare gli stessi problemi che gravano sui club di tutto il mondo. Per sopravvivere dovranno trovare luoghi nuovi, instaurare migliori relazioni con i residenti, spesso facendo meno rumore, oltre a convincere le autorità che sono una importante fonte di posti di lavoro.
Tornando in Europa, anche se le lobby della vita notturna sono riuscite a persuadere i governi che andare in discoteca è un bene per le città, l’inesorabile invecchiamento demografico è una condanna a morte per il settore se non sarà capace di innovarsi e trovare nuove idee.
Certamente, attirare gente per ballare serve a creare posti di lavoro ed è un aiuto per l’economia. Ma convincere degli ottuagenari a danzare non sarà un’impresa tanto semplice!
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