Il crollo di oltre il 6% in un solo giorno, ha portato le quotazioni del petrolio al di sotto dei 29 dollari al barile.
Poco male, dirà qualcuno. Per i consumatori finali dei prodotti petroliferi la situazione può portare solamente benefici, come per esempio quello di prezzi inferiori dei carburanti.
Tuttavia, la drammatica discesa del petrolio sta martellando tutte le valute di quei paesi che producono materie prime, spaventando i mercati finanziari in quanto gli investitori temono per la salute dell’economia globale.
Il recente calo dei prezzi dell’oro nero è stato innescato dalle perdite del mercato azionario cinese e dalla prospettiva di un imminente aumento delle esportazioni di greggio dell’Iran, che porterà ad un eccesso di produzione mondiale per lungo tempo. La revoca delle sanzioni contro l’Iran apre le porte ad una gigantesca ondata di petrolio.
Il Brent ha toccato i nuovi minimi di 12 anni, portando le perdite di quest’anno ad oltre il 20%, il peggiore declino in sole due settimane dalla crisi finanziaria del 2008.
Il secondo più grande consumatore di greggio del mondo, la Cina, si trova con una moneta sempre più indebolita e con l’indice della borsa di Shanghai al livello più basso da dicembre 2014. In aggiunta, le vendite al dettaglio negli Stati Uniti sono diminuite e la produzione industriale di dicembre si è indebolita.
Le preoccupazioni circa il ritmo della crescita economica mondiale sono sempre più diffuse.
Nonostante i prezzi del petrolio siano su nuovi minimi pluriennali, gli analisti pensano che le quotazioni non abbiano ancora toccato il fondo. Per Commerzbank è del tutto plausibile che, molto presto, arriveranno a 25 dollari al barile.
Non è un mistero per nessuno che l’Arabia Saudita, nella sua guerra santa per il petrolio, sia pronta ad arrivare a 20 dollari al barile (“La grande partita sul mercato del petrolio“) pur di eliminare molti dei suoi concorrenti.
Lungo la schiena dell’economia globale cominciano a scorrere brividi di paura.