Nell’economia globale i flussi di denaro che corrono su binari paralleli a quelli ufficiali, stazionando o transitando tramite i paradisi fiscali, sono una quantità immensa.
Al contrario da quanto l’opinione pubblica percepisce, non si tratta un bruscolino nell’occhio dell’economia ufficiale, ma quasi il contrario. Secondo le stime più prudenti, quelle della Banca dei Regolamenti Internazionali del 2016, i soli depositi bancari offshore rappresenterebbero il 10% del PIL mondiale. Ma c’è qualche esperto di finanza internazionale che ha azzardato l’ipotesi che i denari che corrono nei paradisi fiscali rappresentino addirittura i due terzi dell’economia mondiale.
Tutti evasori, piccoli e grandi, che di nascosto rubano soldi al fisco? Più controlli e leggi più severe stroncheranno tutti i furbetti che non vogliono pagare le tasse?
È lecito il dubbio che non si tratti di un problema di repressione fiscale, ma di meccanismi venutosi a creare sul libero mercato e che, in un modo o nell’altro, sono funzionali e indispensabili al funzionamento dell’intera economia mondiale.
Certo, in un mondo perfetto tutti i denari farebbero pare dell’economia ufficiale, non ci sarebbero tangenti e corruzione, fondi neri per far funzionare il sistema dei partiti politici e così via. Ma, sempre nel mondo perfetto, le tasse e le imposte sarebbero eque e non costringerebbero alcuni cittadini a lavorare oltre la metà della loro vita lavorativa solo per pagare le tasse. Naturalmente, tutti sappiamo che non viviamo in un mondo perfetto e, quando ci sono imperfezioni, il mercato trova sempre una soluzione, qualche volta piacevole, altre volte spiacevole, ma alla fine raggiunge sempre un equilibrio tra la domanda e l’offerta.
Ecco perché, mentre l’Unione Europea sta preparando in gran segreto la lista nera dei paradisi fiscali, Oxfam, una organizzazione non profit che si dedica alla riduzione della povertà globale, denuncia che Lussemburgo, Irlanda, Malta e Olanda sono paradisi fiscali che dovrebbero essere inseriti nella blacklist della UE. Verissimo, ci sono diversi Stati membri che applicano aliquote fiscali praticamente a zero, o vicino allo zero, per attirare cittadini e imprese europee che vogliono evitare di pagare tasse esose nel proprio paese. Ragionando in termini di repressione fiscale, bene fa Oxfam a pubblicare la propria blacklist dei 35 paradisi fiscali sparsi in tutto il mondo, tra cui la Svizzera e Bermuda.
Da una parte la Presidenza Maltese UE sostiene pubblicamente di essere a favore di una lista nera vuota, dall’altra molti politici europei si sono impegnati a porre fine a scandali fiscali come i Paradise Papers, i Panama Papers e i Lux Leaks. Tutti atteggiamenti che nascondono un’ipocrisia di fondo, per la quale nessuno vuole ammettere quello che il mercato ci indica da circa 60 anni, più o meno da quando sono nati i paradisi fiscali: ineguaglianze, o ingiustizie fiscali, continueranno a far scappare denaro dall’economia ufficiale ed erigere muri per cercare di impedirlo, anziché risolvere il problema, lo renderà ancora più grande e ingestibile.
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