Almeno per scaramanzia, ogni tanto, non fa male pensare al peggio. È un esercizio salutare, che può servire a mantenere una visione più lucida e più vicina alle cose importanti, con il vantaggio di mantenerci pronti anche alle sorprese spiacevoli.
Non serve guardare troppo lontano per avere sotto agli occhi situazioni drammatiche, come per esempio quelle che si creano durante una guerra.
Non troppo lontano da noi, in Siria, vengono torturati sistematicamente e uccisi i prigionieri politici. Un recente servizio giornalistico della CNN ha raccontato, con immagini drammatiche e sconvolgenti, le esecuzioni sommarie di detenuti e prigionieri.
Chi vive in Siria non ha bisogno di vedere queste immagini per comprendere la realtà della guerra. Ma anche loro adottano gli stessi meccanismi psicologici che anche noi usiamo per evitare di affrontare la realtà con gli occhi bene aperti.
Un mio amico siriano, a conferma di ciò, mi racconta che i suoi genitori che vivono in Siria, si rifiutano di abbandonare il paese, nonostante gli sia stato offerto più volte di lasciare il paese. Secondo loro, la guerra risparmierà il paese in cui vivono e le bombe non colpiranno proprio la loro abitazione. Naturalmente, quando le bombe arriveranno, sarà troppo tardi per trasferirsi in un paese sicuro.
Questo meccanismo psicologico di distacco dalla realtà, che potremmo chiamare “la difesa dello struzzo“, riguarda tutti noi e ci permette di evitare di affrontare verità che potrebbero essere spiacevoli.
La maggior parte di noi vive in paesi che, attualmente, non sono direttamente coinvolti in guerre o rivoluzioni. La maggior parte di noi non ha mai vissuto la guerra, la tortura, o la repressione politica in prima persona. La maggior parte di noi non si è mai trovata faccia a faccia con la realtà di una guerra, al di là delle foto o delle immagini televisive.
Ma questo non significa che non possa succedere. Più di 1 milione di abitanti siriani sono già fuggiti dal loro paese, molti di loro vivono in squallidi campi profughi in Giordania e in Turchia. Centinaia di migliaia di loro sono rifugiati all’interno della Siria, sperando di attraversare il confine alla ricerca di una vita più sicura. E, naturalmente, più di 130.000 siriani sono già morti.
Qualcuno non aspetta che le cose arrivino al punto in cui sono arrivate in Siria. Per esempio, il mio amico siriano ha lasciato il suo paese circa venti anni or sono, perché vedeva nell’inizio della repressione e dell’intolleranza politica tutti i segnali di quanto sarebbe successo negli anni successivi.
Oggi, molte persone vedono preoccupanti segnali premonitori anche in paesi come l’Europa e gli Stati Uniti: sorveglianza elettronica e finanziaria al massimo grado di invasività, sporchi giochi politici che calpestano impunemente i diritti democratici, una crescente militarizzazione della vita quotidiana.
Molte persone, lungimiranti e benestanti, hanno già provveduto ad acquisire la residenza o la cittadinanza in paesi più tranquilli. Sono affetti da ansia cronica o anche noi dovremmo avere un piano per quando le cose volgeranno al peggio?
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