Tra recessione e price-cap, come sarà il 2023 per il petrolio?

Per capire l’evoluzione dell’economia globale non c’è nulla di meglio che leggere le previsioni sui prezzi del petrolio. Ecco quali sono le attese per l’oro nero nel prossimo anno…

In termini di volatilità dei prezzi delle commodities, il 2022 non poteva essere un anno migliore. Soprattutto le materie prime energetiche sono state sulle montagne russe, con i primi tre mesi dell’anno improntati ad un rally mozza fiato.

Naturalmente, il petrolio è stato come sempre protagonista sul mercato delle commodities. Sia il Brent Crude che il greggio statunitense (WTI) hanno iniziato l’anno ai livelli più alti dal 2008 mentre l’Europa precipitava in una drammatica crisi energetica. Ma ad oggi, 21 dicembre, entrambi si trovano intorno ai livelli più bassi dell’anno (il Brent a 80,79 dollari e il WTI a 76,47 dollari).

Un’offerta limitata che si scontra con un rallentamento della crescita economica

In questo momento l’offerta di petrolio globale resta limitata. Durante la pandemia le scorte di petrolio erano cresciute ma, durante tutto il 2022 sono costantemente diminuite. Di conseguenza, considerando anche la ridotta capacità di raffinazione e la mancanza di investimenti nel settore, la capacità esistente è meno in grado di soddisfare la domanda.

E proprio sul fronte della domanda si stanno accumulando sempre più preoccupazioni. Le incertezze circa la domanda cinese sono da mesi un grattacapo per tutti gli economisti che cercano di capire la direzione che prenderà l’economia in Cina. Nel frattempo, le banche centrali con le loro politiche di aumento dei tassi stanno rallentando la crescita globale, spingendo alcuni paesi in recessione.

I primi sei mesi saranno di contrazione economica, per non dire recessione

Per il prossimo anno la sensazione generale è che le economie di tutto il mondo si contrarranno, almeno nel primo semestre, con la speranza che successivamente possano tornare a crescere.

Uno scenario ribassista per il petrolio, che potrebbe però venire aiutato dal recente embargo dell’Unione Europea (UE) e dal prezzo massimo del G7 sul petrolio russo. Ciò, insieme alle possibilità che l’economia cinese possa riaprire nella prima metà dell’anno, fanno sperare ad alcuni analisti che la domanda di petrolio possa non andar così male come tutto farebbe pensare.

Come se non ci fosse abbastanza incertezza, anche le conseguenze sui prezzi del petrolio del price-cap non sono chiare a nessuno. Dopo essersi accordati sul prezzo massimo, i paesi del G7 (con la UE e l’Australia) vogliono continuare di acquistare petrolio russo ma limitando le entrate finanziarie di Putin.

Anche con il price-cap la Russia ci guadagna

La Russia ha minacciato di interrompere la fornitura di petrolio a questi paesi, anche se il suo punto di pareggio è inferiore al price-cap imposto (60 dollari al barile). Quindi, al di là dei proclami politici, la Russia potrebbe continuare a vendere petrolio all’Occidente senza rinunciare ai guadagni.

Certamente, nel 2023 sarà ancora la guerra in Ucraina a muovere i mercati delle materie prime, tanto più se si arrivasse ad un accordo di pace che faciliterebbe un lento ritorno dei flussi di greggio ai livelli prebellici.

Ribassi nel primo trimestre e miglioramenti nella seconda metà dell’anno

Nel complesso, le previsioni per il primo trimestre indicano che il petrolio continuerà la sua tendenza ribassista, ma a ritmi più lenti che potrebbero comportare un consolidamento laterale dei prezzi. Tra gli investitori sono maggiori le paure per la recessione globale che non le speranze di una Cina che riapre la sua economia.

Tuttavia, ci sono anche autorevoli voci meno pessimiste, come nel caso di Goldman Sachs, che ha fatto una previsione di 110 dollari per il Brent entro la metà del prossimo anno.

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