Proprio un anno fa, tutti gli occhi del mercato erano puntati sull’OPEC, i cui membri avevano da poco firmato un accordo storico per limitare la produzione di petrolio, nel tentativo di riequilibrare i prezzi.
E in effetti, nel 2017, i prezzi del petrolio sono cresciuti, raggiungendo il massimo di due anni durante l’ultimo trimestre, pur penalizzati dall’aumento della produzione di scisto negli Stati Uniti.
Il petrolio nel 2017
All’inizio del 2017, le quotazioni del petrolio sono rimaste sostanzialmente stabili, con i mercati che sembravano in attesa di capire quale sarebbe stato l’impatto dell’accordo OPEC (Russia compresa) per limitare la produzione. Nonostante lo scetticismo di molti, i firmatari dell’accordo hanno rispettato i patti e i prezzi hanno cominciato a salire. Un risultato davvero significativo dal momento che Stati Uniti e Canada stavano aumentando la propria produzione, così come Nigeria e Libia. Ma l’accordo OPEC ha retto molto meglio del previsto.
In termini di domanda, la crescita nelle economie sviluppate e della Cina si è mostrata sorprendentemente robusta, incrementando la richiesta di petrolio. Più debole nella prima parte dell’anno, in forte crescita nella seconda.
Le previsioni per il 2017, per la maggior parte, parlavano di un rafforzamento dei prezzi e, una volta tanto, avevano ragione.
Così, in sintesi, il 2017 è stato l’anno della riduzione dell’offerta globale di petrolio, della riduzione dei rischi di natura politica in Europa e negli Stati Uniti e della crescita globale resiliente.
Il petrolio nel 2018
Se tra gli analisti non c’è perfetta concordanza su quali saranno i prezzi dell’oro nero, tutti pensano che il fattore chiave sul mercato nel 2018 sarà quello che succede con l’accordo sui tagli produttivi dell’OPEC, che dovrebbe protrarsi per tutto l’anno.
Le prospettive economiche globali per il nuovo anno sembrano buone, anche se esistono alcuni rischi che potrebbero minare la tendenza positiva. Tra questi, una politica monetaria più restrittiva negli Stati Uniti, la possibilità di un forte rallentamento in Cina e l’esito di importanti elezioni in vari paesi del mondo, tra i quali Brasile, Italia e Messico. Minacce che potrebbero rallentare la ripresa economica globale e, di conseguenza, avere un impatto negativo sulla domanda di petrolio.
In termini di offerta, i rischi geopolitici maggiori arrivano dalle tensioni tra l’Iran e l’Arabia Saudita, che potrebbe portare ad interruzioni nelle forniture petrolifere. Di contro, esiste la possibilità che Russia, Canada e Stati Uniti aumentino la propria produzione nel corso del 2018.
Parlando di prezzi, secondo Capital Economics, il petrolio si muoverà sui livelli del 2017, con il Brent che arriverà a 55 dollari al barile per la fine del 2018. Per FocusEconomics, il prezzo medio del greggio WTI nel 2018 sarà di 54,70 dollari, mentre il Brent raggiungerà 58,10 dollari.
Guardando invece agli analisti più ottimisti, ABN Amro prevede 66 dollari per il greggio WTI e 70 dollari per il Brent; al contrario, i più pessimisti (Itau BBA) immaginano il greggio WTI a 45,70 dollari e il Brent a 47,40 dollari.
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