Due anni fa il Cile ha vissuto il drammatico fenomeno che qualcuno chiama la marea tossica.
Tutto è cominciato con la morte di 23 milioni di salmoni al largo delle sue coste. Poi, migliaia di sardine morte si sono riversate nella città costiera di Toltén. Successivamente, vongole, meduse morte, uccelli e persino mammiferi si sono arenati lungo le coste.
Secondo il governo cileno la causa di tutto sono le alghe, il cui numero è rapidamente cresciuto raggiungendo livelli mai visti prima. Il fenomeno, conosciuto anche come la marea rossa per il colore delle alghe nell’acqua, produce un drenaggio di ossigeno dall’acqua mentre anche le alghe muoiono e si decompongono, soffocando la vita marina circostante. Queste fioriture di alghe nelle acque costiere sono causate da una combinazione di fattori: temperature del mare più calde del solito e alti livelli di nitrogeni e altri inquinanti che vengono riversati nell’oceano.
Le zone morte
Ciò provoca il drammatico aumento delle cosiddette zone morte in tutti gli oceani del mondo. Zone dove l’ossigeno è sceso a livelli così bassi che la maggior parte della vita marina non può sopravvivere.
Secondo uno studio della Intergovernmental Oceanographic Commission delle Nazioni Unite, le maree tossiche verificatesi in Cile nel 2016 potrebbero essere solo la punta dell’iceberg. Infatti, dal 1950, le zone morte nelle aree costiere di tutto il mondo sono aumentate di dieci volte.
Il surriscaldamento dell’acqua del mare ha quadruplicato la diffusione delle zone morte nell’oceano aperto, assai meno esposte all’inquinamento degli scarichi delle attività dell’uomo, che invece provocano danni alle acque costiere. Gli scienziati che hanno realizzato lo studio non hanno dubbi sul fatto che sia stato il cambiamento climatico, causato dall’uomo, a provocare l’aumento delle temperature del mare che stanno riducendo i livelli di ossigeno.
Ad oggi, è completamente chiaro come le acque surriscaldate possano ridurre i livelli di ossigeno. In primo luogo, l’acqua troppo calda aumenta la stratificazione dell’oceano e indebolisce la circolazione nell’acqua. Ciò significa che l’ossigeno non riesce a penetrare nelle acque più profonde. In secondo luogo, l’aumento delle temperature globali diminuisce la solubilità dell’ossigeno nell’acqua, il che significa che la vita marina deve consumare più ossigeno per respirare. Infine, nelle zone costiere, i mari più caldi combinati con l’eccesso di inquinamento creano le dannose proliferazioni delle alghe, che drenano ossigeno mentre muoiono e si decompongono.
Quali i danni per l’uomo?
Ma gli esseri umani non sono soltanto i responsabili del cambiamento climatico e dell’inquinamento idrico che provoca le zone morte. Essi sono quelli che soffrono e soffriranno del danno che i nostri oceani subiscono. Infatti, circa la metà dell’ossigeno terrestre proviene dall’oceano.
La caduta dei livelli di ossigeno, può accelerare il ritmo dei cambiamenti climatici. Tanto più che bassi livelli di ossigeno provocano il rilascio di sostanze chimiche come il protossido di azoto. Questo gas a effetto serra è trecento volte più potente del biossido di carbonio nell’intrappolare il calore nell’atmosfera.
Forse, non tutto è perduto…
Nonostante la rapida diffusione di zone morte lungo le coste del mondo e in mare aperto, forse, ci sono ancora speranze.
Alcuni casi, come quelli di Chesapeake Bay sulla costa atlantica degli Stati Uniti e del fiume Tamigi a Londra, dimostrano che è possibile riportare in vita zone precedentemente morte, grazie ad un controllo rigoroso dell’inquinamento dell’aria e dell’acqua.
Quindi, gli scienziati hanno formulato tre raccomandazioni per aiutare a combattere i bassi livelli di ossigeno:
- ridurre le emissioni di combustibili fossili e l’inquinamento idrico;
- creare aree protette e zone franche per i pesci che sfuggono alle zone morte;
- migliorare il monitoraggio del basso livello di ossigeno negli oceani per identificare quali sono i luoghi più a rischio di diventare zone morte.
Affrontare il cambiamento climatico può sembrare un compito impossibile da svolgere e del tutto scoraggiante, ma farlo è fondamentale per arginare il declino dell’ossigeno nei nostri oceani.
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