Minerali insanguinati in Congo

Il problema dei minerali e dei metalli provenienti da zone insanguinate da violenze e guerre civili come in Congo, arriva all’attenzione del grande pubblico grazie al National Geographic.

L’ultimo numero della celebre rivista National Geographic, è focalizzato su una zona geografica ricca di paesaggi mozzafiato ma piena di storie di orrore dei nostri giorni: la Repubblica Democratica del Congo (RDC).

La celebre abilità fotografica dei reporter della pubblicazione americana, catturano visivamente la violenza indicibile che circonda l’estrazioni di minerali nel paese.

La Repubblica Democratica del Congo, è uno dei paesi più ricchi del mondo in termini di ricchezze minerarie. Purtroppo, è anche uno dei più poveri.

La parte orientale del paese è afflitta da un governo corrotto e instabile oltre che da gruppi di miliziani che continuano a minacciare e a devastare la regione. La lunga storia di violenze e di conflitti in Congo sono sempre rimasti nascosti agli occhi della maggior parte dell’opinione pubblica mondiale.

La lunga storia di violenze e di conflitti in Congo sono sempre rimasti nascosti agli occhi della maggior parte dell’opinione pubblica mondiale

Se pensiamo a non più di dieci anni or sono, il termine conflict-minerals (minerali/metalli causa di conflitti) veniva ricondotto principalmente ai diamanti. Ma al giorno d’oggi la lista di questi minerali e metalli si è allungata: tungsteno, oro, stagno, tantalio e cobalto sono le risorse estratte illegalmente, contrabbandate e vendute ai produttori di tutto il mondo.

È assai probabile che tra i circuiti dei dispositivi elettronici che utilizziamo quotidianamente, siano contenuti metalli provenienti da questa zona insanguinata del mondo.

Nel 2010 l’amministrazione Obama ha tentato di arginare il fenomeno con il Dodd Frank Act che, anche se non ancora perfezionato, ha l’obbiettivo di costringere le società quotate in borsa a rivelare l’uso di conflict-minerals.

Come è facilmente comprensibile, ottenere la piena trasparenza è un’impresa davvero difficile da realizzare.

Molte aziende si stanno attrezzando per gestire la propria catena di approvvigionamenti in modo da utilizzate materiali non provenienti da paesi in conflitto e già esistono una manciata di grandi società che hanno fatto passi da gigante negli ultimi mesi in questa direzione. Intel, HP e Motorola sono molto vicine all’obbiettivo di poter assicurare che tutti i componenti contenuti nei loro prodotti siano provenienti da zone del mondo conflict-free.

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