Chi segue il mercato delle materie prime lo sa bene: il mondo è inondato di petrolio oggi, proprio come lo era sei mesi fa.
Come in un teatrino, i produttori dichiarano che si avvicina il momento in cui ridurranno la produzione o che si accorderanno per sostenere i prezzi. Basta poi andare sul mercato per comprare barili di petrolio a condizioni sempre più convenienti. E i consumatori si sfregano le mani contenti.
Tuttavia, i fondamentali a lungo termine danno un’altra idea della realtà che ci aspetta. Le nuove scoperte di riserve di petrolio sono al livello più basso da 60 anni a questa parte e le spese in conto capitale dei produttori sono crollate.
L’International Energy Agency dice che la quantità di spesa delle compagnie petrolifere di tutto il mondo è scesa da 780 miliardi di dollari a 450 miliardi, ed è ancora in calo. A peggiorare le prospettive, il costo molto alto dei giacimenti dei paesi occidentali li spinge sempre di più a fare affidamento sulle regioni del mondo meno stabili politicamente, come il Medio Oriente e la Russia.
Ma si sa, nel lungo termine saremo tutti morti e i fondamentali non cambiano nel quotidiano i costi per il consumatore.
Nel breve termine i prezzi oscilleranno tra i 40 e i 50 dollari al barile, con una volatilità elevata fatta apposta per la gioia di tutti i trader e di quegli investitori che giocano con le piattaforme online per guadagnare qualche dollaro con il semplice tocco di un pulsante.
Anche, e soprattuto, per un paese come l’Italia, il mercato del petrolio odierno è una vera manna dal cielo, ma che non durerà per sempre.
È vero che a nessuno interessa cosa succederà tra un decennio ma, per pianificare la politica energetica di un paese, i tempi sono di questo tipo e non approfittare di questa occasione per ridurre la nostra totale dipendenza dagli approvvigionamenti esteri di idrocarburi sarebbe qualcosa che le prossime generazioni non saranno disposte a perdonare.