In un sol giorno (29 agosto) i prezzi del greggio sono scesi di oltre l’1%.
I rinnovati timori riguardo ad un eccesso di petrolio, ad un dollaro forte e alle aspettative che i ribelli in Nigeria, il più grande paese produttore di petrolio dell’Africa, smetteranno di ostacolare le esportazioni, hanno alimentato questa nuova ondata di pessimismo.
Come noto, le attese di un rafforzamento del dollaro rendono le materie prime in dollari meno convenienti per i titolari di altre valute.
A peggiorare il quadro, le scorte di greggio degli Stati Uniti sono aumentate per la seconda settimana di fila (1,3 milioni di barili), come rivelato da un sondaggio della Reuters. Inoltre, l’Iraq si sta impegnando nello spedire ancora più petrolio, dopo che ad agosto le esportazioni dai suoi porti meridionali hanno raggiunto un picco.
Di contro, le uniche notizie in contrasto ai diffusi e rinnovati timori di una sovrabbondanza sono quelle che arrivano dal Golfo del Messico, dove i produttori di gas e petrolio hanno chiuso gli impianti come precauzione per l’arrivo di una tempesta tropicale. L’ammanco sul mercato è di 168.334 barili al giorno di petrolio e più di 5 milioni di metri cubi al giorno di gas naturale.
L’Arabia Saudita ha fatto intendere che l’OPEC potrebbe decidere un taglio della produzione nella prossima riunione di fine settembre ma gli analisti scommettono che si tratti solo di una tattica verbale, a cui non seguirà alcun congelamento della produzione, per arginare a parole la caduta dei prezzi.
Dulcis in fundo, secondo alcuni importanti funzionari della Shell e della ConocoPhillips, l’eccesso di offerta potrebbe estendersi anche al 2017.
Le previsioni a brevissimo termine danno tra l’80 e il 90% di probabilità di un ritorno a 39 dollari del prezzo del WTI.
Attualmente, il petrolio quota circa 47 dollari per il WTI e 49 dollari per il Brent.