La crisi dell’Euro: cosa ci aspetta?

Una spietata analisi dei problemi dell’euro conduce ad una logica conclusione: vale davvero la pena di salvare l’euro?

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Dopo quasi due anni, una dozzina di vertici e vari cicli di austerità, un trilione di dollari di liquidità e ora le elezioni in Grecia e Francia che minacciano di rovesciare il fragile consenso politico in Europa, l’euro-crisi avanza sempre più dirompente. Come potrebbe finire,  con una fuga dai mercati europei ed il crollo di fiducia intorno alla Grecia, Spagna e Italia, è chiaro a tutti. Quello che è meno chiaro è come risolverla.

Eurobond, trattati fiscali, austerità e dichiarazioni di impegno e credibilità sono tutte strade percorse che, con una popolazione sempre più insofferente, hanno dimostrato di non funzionare per niente. I paesi sottoposti a programmi di austerità hanno oggi un debito maggiore di quanto ne avessero nel 2009. Quindi, come disse Lenin una volta, “che cosa si deve fare?”.

L’Europa ha una pletora di risposte contraddittorie tra cui scegliere. Il problema è che i leader europei non sanno, come gli antichi oracoli della Grecia, quali domande fare. Cinque sono le domande che dovrebbero essere poste sul tavolo, ancor prima di cercare una soluzione.

In primo luogo, l’euro è stato un incidente, la vittima di un raggiro o un colpo di harakiri? Non per tutti i paesi la domanda è uguale poichè per esempio per l’Irlanda è sicuramente una ferita auto-inflitta, mentre per l’Italia è stato un raggiro. Anche se l’incidente non è stato previsto, i difetti di progettazione iniziale erano ben noti, ma totalmente ignorati: la mancanza di un prestatore di ultima istanza (banca centrale), la possibilità di avere spread tra titoli di stato dei diversi paesi e la mancanza di un regime di responsabilità per le banche. Considerando che i meccanismi messi a punto per superare questi difetti non hanno funzionato prima, dovremmo forse pensare che funzioneranno nel futuro?

In secondo luogo dobbiamo chiederci: questa crisi cosa riguarda? Se la domanda viene posta agli attori dei mercati finanziari o agli accademici, otterremo risposte molto diverse. Il debito degli stati sovrani “periferici”, la mancata crescita, la rigidità del sistema, la dissolutezza nella gestione delle risorse pubbliche, sono queste le risposte che vanno per la maggiore. Peccato che siano tutte sbagliate. Se il problema di fondo è che qualche stato periferico non ha rispettato le regole ed ha gestito in dissolutezza concedendo aumenti salariali che non poteva permettersi, bisogna domandarsi come ha potuto ottenere il denaro per farlo. Di certo non lo ha chiesto in prestito ai propri cittadini. La risposta a questa domanda ci porta a credere che è stato l’eccesso di prestiti concesso dalle banche europee, che sono adesso tenute in vita dalla BCE. Si può spingere la Grecia a tagliare la spesa pubblica ai livelli del Neolitico, ma i bilanci di Societe Generale, per esempio, non miglioreranno nemmeno di un euro.

La terza domanda è: che cosa distingue questa crisi? La tendenza è di pensare che sia la solita storia che si ripete. Ma questa volta è molto diverso, proprio perchè sta verificandosi proprio nel cuore dell’economia globale, non in qualche zona periferica come l’Argentina. Questa crisi si sta veicolando attraverso le principali istituzioni finanziarie del Continente. Non riconoscere questo fatto porta ad intraprendere azioni che arrecano più danni che benefici.

Una quarta questione è: avremmo potuto fare qualcosa di diverso per evitare un simile pasticcio? Gli errori fatti fino ad ora potrebbero darci informazioni preziose per il futuro. La gestione della crisi greca è stata fallimentare, l’iniezioni ripetute di liquidità della BCE sono state totalmente inutili, etc. etc. Ma sembrerebbe che l’Unione Europea, anzichè fare tesoro dei propri errori, generi sempre più errori “composti”.

Infine, la domanda più importante è: ma vale davvero la pena di salvare l’euro? Siamo disposti a sacrificare tutto il più ampio progetto europeo pur di salvare la moneta? L’Unione Europea si basa sulla fiducia e il clima di fiducia può esistere in uno scenario di ricchezze condivise e sostegno reciproco. Le istituzioni preposte al salvataggio dell’euro, con le loro rigide regole fiscali e i loro “cordoni finanziari” tirati intorno ai paesi in difficoltà per fermare l’infezione contro l’euro, non stanno certo ispirando fiducia. Progettare istituzioni che possano generare fiducia non è un’opzione, è una necessità. Senza la fiducia nessun sistema bancario può resistere.

L’euro doveva ovviare al problema delle svalutazioni monetarie ricorrenti e alla volatilità delle valute europee. Ma sul bilancio, quanta svalutazione e volatilità possono valere l’impoverimento di milioni di europei e la perdita di generare crescita economica? Se questo è il prezzo da pagare per salvare l’euro, dovremmo almeno conoscerne l’entità per tempo.

Senza porre le corrette domande e senza l’onestà di rispondere, non è possibile risolvere questa crisi. I risultati delle elezioni in Francia e Grecia offrono l’opportunità ai responsabili europei di porsi le domande corrette. Se non lo faranno, le domande se le porranno le popolazioni europee, e con ogni probabilità ai progettisti dell’euro non piaceranno le risposte che verranno date.

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