I prezzi del petrolio hanno trovato un solido supporto a 50 dollari al barile.
Nonostante la discesa della scorsa settimana, i prezzi hanno finito per stabilizzarsi a quasi 52 dollari (Brent) e a 51 dollari (WTI). Ma rimangono in corsa per spingersi ancora più in alto a causa delle crescenti aspettative del mercato circa una stretta della produzione e un declino delle scorte, con una domanda in crescita costante.
Almeno questa è la speranza dell’OPEC, Arabia Saudita in testa.
Il ministro dell’energia saudita, Khalid Al-Falih, sostiene che la domanda in Cina non sta rallentando e che i prezzi del petrolio potrebbe crescere ulteriormente se i paesi produttori collaboreranno per limitare l’offerta. Il riferimento è alla Russia, paese non aderente all‘OPEC, con la quale, se si fosse trovato un accordo in precedenza, si sarebbe potuto evitare la drammatica discesa dei prezzi del recente passato.
Di certo, se l’intesa appena conclusa tra Russia e OPEC, non dovesse trovare attuazione, la credibilità delle due parti verrebbe distrutta e i prezzi dell’oro nero potrebbero rimanere bassi per un tempo assai più lungo di quanto si possa immaginare.
Nel frattempo, negli Stati Uniti, le scorte di greggio sono in calo ormai dal mese di maggio e anche il US Department of Energy (DOE) ha segnalato una riduzione forte e inaspettata.
I tassi di raffinazione in Cina sono saliti, lo scorso mese, di 10,7 milioni di barili al giorno, in crescita del 2,4% rispetto a un anno fa, mentre le importazioni di petrolio hanno toccato un nuovo record a 8 milioni di barili al giorno. Inoltre, la produzione petrolifera interna è scesa di quasi il 10%, il livello più basso da 6 anni a questa parte.
Difficile non vedere un miglioramento del quadro generale e dei fondamentali sul mercato petrolifero, anche se è ancora molto presto per lasciarsi andare all’ottimismo.