Negli ultimi mesi, l’argomento più chiacchierato tra investitori ed analisti di tutto il mondo è stato certamente quello dell’OPEC, l’organizzazione dei paesi esportatori di petrolio con sede a Vienna (Austria).
Quando l’OPEC parla, il mondo sembra fermarsi per poter ascoltare con la massima attenzione quello che dice. D’altronde l’OPEC rappresenta il 40% della produzione di petrolio greggio di tutto il mondo.
L’OPEC è da mesi in guerra con i paesi occidentali a causa della sua politica di non ridurre i livelli di produzione, interpretata da molti come una strategia per mettere in difficoltà la produzione americana e di tutti i paesi non aderenti all’organizzazione.
In poche parole, nel mondo c’è troppo petrolio e i prezzi ne hanno risentito passando da circa 100 dollari a 50 dollari al barile. L’OPEC, così come i produttori statunitensi di petrolio da scisto, ha un ruolo determinante in questo eccesso di offerta.
La discesa dei prezzi del petrolio ha comportato per l’OPEC, nel 2014, un calo dell’11% nei ricavi netti derivanti dall’esportazione. Secondo l’Impact Assesment Energy nel 2015 il calo sarà ancora maggiore.
Questa enorme riduzione dei ricavi e un crescente disagio tra i suoi membri, come Venezuela, Libia e Nigeria, sta indebolendo progressivamente l’OPEC.
A peggiorare la situazione è arrivato in questi giorni lo storico accordo sul nucleare tra Iran e sei potenze mondiali: America, Francia, Gran Bretagna, Cina, Russia e Germania. Accordo che, con buone probabilità, permetterà all’Iran di aumentare le proprie esportazioni di petrolio a partire dal prossimo giugno, quando l’accordo finale verrà firmato.
L‘Iran è pronto a pompare quasi 300 milioni di barili di greggio sul mercato e non ci vuole molta immaginazione per prevedere quale effetto avrà sui prezzi.
Sul fronte interno dell’OPEC, il Venezuela, che galleggia su riserve di petrolio e gas tra le più grandi del mondo, si trova in una grave recessione economica che ha spinto l’inflazione al 68%. Il paese perde circa 700 milioni di dollari all’anno per ogni dollaro di calo del prezzo del petrolio. Pertanto, sarebbe nell’interesse del Venezuela ridurre i propri livelli di produzione, soprattutto dopo l’accordo nucleare iraniano.
La fazione opposta dell’OPEC, guidata dall’Arabia Saudita, vuole invece mantenere e addirittura aumentare i suoi livelli di produzione per non perdere la propria quota sul mercato globale. Secondo l’Arabia Saudita la produzione non va tagliata, qualsiasi prezzo raggiunga il petrolio.
Ma allora i prezzi del petrolio sono allora destinati a scendere a 30 dollari al barile, come previsto da qualcuno, o riprenderanno quota verso i 70 dollari?
Non ci sarà da attendere molto per avere una risposta.
Mai come in queste settimane, i conflitti interni all’OPEC stanno sconquassando tutta l’organizzazione e perciò la prossima riunione di giugno sarà più interessante che mai.
I riflettori di tutti gli investitori sono pronti ad accendersi sulla riunione che determinerà il destino, non solo dei prezzi del petrolio, ma anche di tutte le altre materie prime.