British Steel e le tentazioni dei facili aiuti di Stato

La British Steel, il secondo più grande produttore di acciaio del Regno Unito, verrà messa in liquidazione. Ma con quali prospettive?

Altri dolori per l’acciaio in Europa. La British Steel è ufficialmente in bancarotta. Il governo britannico non ha trovato un’intesa comune con la proprietà (il fondo Greybull Capital) e la seconda acciaieria britannica è stata dichiarata insolvente.

British Steel è un gigante che da lavoro a 5mila dipendenti, oltre a 20mila persone che lavorano nell’indotto.

L’intera vicenda è decisamente interessante perché getta una luce su come le regole di mercato siano bene accette solo quando favorevoli ai propri interessi nazionali. Un insegnamento anche per l‘Italia e per quei paesi sempre pronti all’assistenzialismo statale verso aziende che hanno perso ogni senso di esistere da un punto di vista economico.

Forte calo delle vendite per la Brexit

Secondo Greybull Capital, la colpa del disastro è da attribuire all’incertezza della Brexit che ha generato un drastico calo delle vendite verso i clienti europei. A ciò si sono aggiunti i prezzi elevati del minerale di ferro (accentuati da una sterlina debole) e gli alti costi energetici.

In questa situazione, molti sostenevano che il governo britannico avrebbe dovuto intervenire, nazionalizzando o finanziando British Steel. Alcuni ministri britannici hanno affermato di essere stati impediti dalle norme dell’Unione Europea sugli aiuti di Stato. Naturalmente, il governo britannico avrebbe potuto offrire prestiti a condizioni commerciali, come già aveva fatto lo scorso mese per finanziare il deficit di credito fiscale sulla CO2.

Mentre i fautori della Brexit sostengono che se il Regno Unito non fosse nella UE, potrebbe salvare la British Steel senza alcun problema, è interessante ricordare come le norme UE sui sussidi statali furono introdotte con un forte sostegno da parte degli inglesi, che volevano contrastare il salvataggio di aziende in fallimento da parte dei governi del Continente.

Tra l’altro, pur essendo la British Steel un importante fornitore di binari per l’industria ferroviaria britannica, non svolge un ruolo cruciale nella produzione di acciaio per la difesa e per le infrastrutture nazionali. Gran parte della sua produzione viene esportata e il Regno Unito importa la maggior parte dell’acciaio speciale di cui ha bisogno. Notoriamente, i sottomarini nucleari britannici si affidano all’acciaio francese ad alta resistenza per i loro scafi.

Il problema non è il mercato ma le strategie aziendali

La dura realtà per la British Steel è invece la necessità di un cambiamento strategico.

Secondo il Financial Times, l’azienda non ha sbocchi adeguati per tutto il materiale che produce. La produzione di 2,8 milioni di tonnellate di acciaio è eccessiva per il mercato che garantisce una ragionevole redditività, perciò la metà dei prodotti viene venduta senza guadagni.

Si stima che qualsiasi sia il nuovo proprietario dell’azienda, avrà bisogno di spendere almeno 250 milioni di sterline per rimodernare gli impianti. Tuttavia, nell’attuale incertezza della Brexit nessun investitore sano di mente potrebbe gettarsi nell’impresa di entrare in British Steel, a meno di non avere in mano un assegno in bianco firmato dal governo del Regno Unito.

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