Chiude l’impianto di produzione dello zinco di Portovesme (Sardegna), controllato dalla multinazionale svizzera Glencore, scatenando le proteste dei lavoratori (1.200 di loro finiranno probabilmente in cassa integrazione). Tuttavia, non si tratta di una sorpresa poiché la decisione era già stata presa da tempo, anche se è stata anticipata di qualche giorno rispetto alla data pianificata del 31 dicembre.
Anche il governo italiano ha protestato e il MIMIT (Ministero delle Imprese e del Made in Italy) ha comunicato che “la decisione comunicata da Glencore è inaccettabile, provocatoria e scorretta. Inaccettabile nel merito, perché contraddice palesemente quanto dichiarato dall’azienda al tavolo Mimit. Scorretta e provocatoria nel metodo, perché avviene proprio mentre una delegazione tecnica del ministero sta visitando il sito industriale per valutarne le potenzialità come lì concordato. Ne trarremo le conseguenze immediate“.
Che lo stabilimento di Portovesme fosse destinato alla chiusura era noto da tempo, cosí come sono noti da tempo i problemi che lo affliggono che, in estrema sintesi, fanno capo all’eccessivo costo dell’energia che rende non profittevole la produzione di zinco in Italia, ma in genere in tutta Europa.
I problemi che hanno portato a questa crisi in Sardegna non hanno certo una matrice locale, ma piuttosto globale. Le multinazionali che producono metalli ad alta intensità energetica stanno infatti chiudendo in tutta Europa, traslocando quando possibile in paesi energeticamente più economici.
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