Anche sul mercato europeo dell’acciaio si gioca sporco

I produttori di acciaio europei si dibattono tra grandi difficoltà e per proteggere i propri profitti provano di tutto, anche a cambiare le regole del gioco.

Quando i politici e le grandi aziende fanno grandi discorsi sul libero mercato, è sempre meglio prenderli con le pinze. Il libero mercato va benissimo quando si tratta di sfruttare risorse senza regole e a bassi costi ma, se si tratta di concorrenza sfavorevole, le cose cambiano…

Proprio quello che emerge dai recenti fatti avvenuti in Europa e che coinvolgono grandi aziende del settore dell’acciaio e i politici europei.

Al riparo dall’alluvione di acciaio straniero

Dopo l’imposizione di dazi al 25% sui prodotti siderurgici di Donald Trump, l’Europa è intervenuta per proteggere i suoi mercati interni da un‘alluvione di acciaio straniero alla ricerca di una nuova destinazione. Secondo il Financial Times, l’Unione Europea ha in vigore 52 misure anti-dumping e anti-sovvenzioni sui prodotti siderurgici. Una reazione rapida ai nuovi dazi statunitensi sull’acciaio, per salvaguardare e proteggere il settore dell’acciaio della UE.

Queste misure preservano i tradizionali livelli di importazione nella UE, garantendo condizioni eque per un settore in difficoltà a causa di una sovra-capacità.

Secondo ArcelorMittal, i politici non fanno abbastanza

Nonostante ciò, ArcelorMittal ha dichiarato che le misure sono insufficienti e ha annunciato la sua decisione di ridurre temporaneamente la produzione in alcuni dei suoi impianti nel continente. Sempre secondo il Financial Times, la società ha dichiarato che avrebbe lasciato inalterata la produzione di acciaio del suo impianto di Cracovia (Polonia) e diminuito quella nelle Asturie, in Spagna. Inoltre, rallenterà il previsto aumento delle spedizioni da parte degli impianti in Italia. In totale, tutte queste azioni, ridurranno la produzione annua di acciaio grezzo di 3 milioni di tonnellate, pari al 7% della produzione europea dello scorso anno.

Ma le importazioni non sono l’unica ragione che ha spinto il gigante dell’acciaio verso questa la decisione. ArcelorMittal ha anche accusato alti costi energetici e un aumento dei prezzi dei crediti della CO2 (quelli che chi inquina deve utilizzare per compensare le emissioni che crea, in base agli accordi con Bruxelles). I fornitori di acciaio stranieri, ovviamente, non devono pagare questi crediti di carbonio, il che è un altro inconveniente. Perciò, l’azienda vorrebbe vedere dazi “verdi” sulle importazioni, equivalenti ai crediti di CO2 che i produttori della UE devono pagare.

Sempre più difficile fare profitti

La UE produce 170 milioni di tonnellate di acciaio all’anno. Tuttavia, rimane fortemente dipendente dalle importazioni, che hanno l’effetto di trascinare verso il basso i prezzi di mercato. In questa situazione, i produttori europei spesso faticano a realizzare profitti.

Questa situazione ha costretto il gruppo tedesco ThyssenKrupp a separare la sua divisione dell’acciaio da tutto il resto. Fondamentale per questa strategia è stata la fusione della divisione acciaio con le attività europee di Tata, per creare il secondo gruppo siderurgico in Europa dopo ArcelorMittal.

E qui entrano in gioco i politici. La Commissione Europea alla Concorrenza, lo scorso anno, ha costretto ArcelorMittal ad effettuare importanti dismissioni per ottenere l’approvazione per l’acquisizione dell’italiana Ilva. Inoltre, Bruxelles ha chiesto ulteriori concessioni a ThyssenKrupp e Tata in cambio dell’approvazione per la fusione.

Con le elezioni europee alle porte, gli intrighi e le congiure nei corridoi del potere di Bruxelles ribollono come non mai. Le grandi aziende dell’acciaio, anziché confrontarsi sul libero mercato, sembra preferiscano spingere i decisori politici a cambiare le regole del gioco.

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