L’economia reale delle materie prime, la strada maestra per lo sviluppo e il benessere

Se in Italia ci fosse un altro Enrico Mattei, investire in materie prime sarebbe una priorità per l’intero paese.

Controllare la materia prima dovrebbe essere tra le priorità di ogni paese sviluppato che voglia mantenere il proprio benessere, le proprie conquiste e la propria cultura negli anni a venire. 

Fino ad oggi, in Italia, pochissimi hanno capito l’importanza strategica di controllare le materie prime. E purtroppo chi conosceva bene quanto fosse importante non c’è più: parliamo di Enrico Mattei, scomparso tragicamente e in dubbie circostanze nell’ormai lontano 1962.

Materie prime sono la soia, il grano, il mais, il petrolio, il rame, l’alluminio, il lantanio e il tungsteno. Materiali che quotidianamente sono presenti nella nostra vita, visibili o invisibili ai nostri occhi, come per esempio il disprosio, metallo indispensabile per tutti i veicoli ibridi.

È facile intuire che una materia prima come il petrolio possa influenzare i destini di una nazione, in termini di ricchezza, di influenza internazionale e in termini di prospettive future. Siamo sempre stati abituati a pensare che, tutto sommato, non possedere o non avere il controllo delle materie prime non fosse troppo importante, perché pagando il giusto prezzo, possiamo sempre trovare qualche venditore. In un ottica di breve termine e per un periodo temporale storicamente molto ristretto, questo ragionamento è stato ispirato dai fatti: quando la domanda di petrolio saliva e l’offerta diminuiva, era sufficiente pagare un prezzo maggiore per avere la materia prima. Viceversa quando la domanda scendeva.

Ci si è sempre affidati alla legge della domanda e dell’offerta, come ad una bilancia perfetta per equilibrare il mercato e consentire ai paesi ricchi di cullarsi nell’illusione che “pagando” si sarebbe potuta ottenere tutta la materia prima necessaria e quindi era meglio concentrarsi nel produrre la ricchezza necessaria in settori più importanti e soprattutto più remunerativi, come la finanza e lo sviluppo di tecnologie e servizi. In fondo, meglio avere milioni di dollari che non la proprietà di una miniera di rame, meglio aver della carta moneta che del metallo.

La crisi economica che l’occidente sta attraversando, ha profonde radici in queste false certezze.

Così ha funzionato per un brevissimo periodo storico. Ma se allarghiamo la nostra visuale possiamo vedere le cose diversamente. La storia delle più grandi civiltà hanno mostrato che avere il controllo delle materie prime, per armare il proprio esercito, per far lavorare le proprie industrie o per dar da mangiare alla propria popolazione, ha sempre fatto la differenza tra le civiltà conquistatrici e le civiltà conquistate o scomparse.

Ma un paese come l’Italia, o una unione di stati come l’Europa, certamente non possono inventarsi giacimenti di petrolio o miniere di bauxite se non sono presenti all’interno del proprio territorio. Ovviamente esistono altri modi per controllare le materie prime. Escludendo il controllo militare dei territori da cui le materie prime sono estratte, rimangono quattro strade.

La prima strada è di comprarsi le miniere ovunque esse siano. È la strada che la Cina ha imboccato da anni e che ha portato il paese a controllare un numero impressionante di miniere in tutto il mondo, dal Sud America all’Africa.

La seconda è controllare le lavorazioni subito a valle dell’estrazione della materia prima. Per esempio la Cina, pur non avendo miniere di tantalio, ne ha l’esclusiva per la raffinazione. Di fatto buona parte del tantalio del mondo passa dalla Cina.

La terza strada è di controllare la logistica e la distribuzione della materia prima. Un esempio potrebbe essere quello del gasdotto siberiano, che per portare il gas all’Italia deve passare dall’Ucraina. Di fatto l’Ucraina ha il potere di controllare il gas russo, potendo interrompere, ipoteticamente in qualsiasi momento, la distribuzione dello stesso.

La quarta strada è di accumulare materie prime per avvalersi di depositi strategici e poterli usare nel futuro come delle piccole miniere. Un esempio è ciò che sta facendo Banca Italia con un metallo che è universalmente accettato come simbolo di ricchezza: l’oro. Gli stock della nostra Banca Centrale sono di circa 2.450 tonnellate (anno 2011) e sono stati accumulati nel tempo. Queste riserve sono l’unica ricchezza a cui è appesa la credibilità al nostro sistema bancario e sono state giustamente accumulate nella consapevolezza che il metallo giallo fosse una risorsa strategica per il nostro sistema finanziario, a prescindere dal suo prezzo nel momento o nei momenti in cui è stato acquistato.

Il nostro paese non ha grandi possibilità di intraprendere la prima, la seconda o la terza strada, ma potrebbe da subito decidere di intraprendere la quarta strada: scegliere e individuare la materia o le materie prime strategiche per lo sviluppo industriale futuro del paese e decidere di iniziare un programma di stoccaggio strategico.

Il buonsenso e la coscienza di come un bene reale e tangibile, per esempio l’oro, possa influenzare il destino di una nazione, è lo stesso che ha spinto moltissimi cittadini, senza alcuna conoscenza di materie prime, a comprare oro o altri metalli preziosi negli ultimi anni. Se potesse accumulare tungsteno o lantanio, con lo stesso buonsenso, qualunque cittadino non esiterebbe a capire che avere delle scorte strategiche di metalli così importanti influenzerà il proprio destino e il destino dei propri figli. Perché anche la nostra classe dirigente non riesce a formulare un simile ragionamento? Credete che titoli di stato, che garantiscono il nostro debito, potrebbero essere più solidi e meglio garantiti se venissero emessi da un paese con delle scorte strategiche importanti per esempio di litio o di molibdeno?

Dovremo fare un salto culturale, che riporti al centro delle priorità l’economia reale, abbandonando per sempre l’idea che la finanza possa generare benessere e sviluppo. La speranza è che le prossime classi dirigenti del nostro paese possano vedere più lontano e dare una concreta e solida speranza al nostro futuro, formulando strategie concrete e lungimiranti che non possono prescindere dal controllo delle materie prime strategiche. L’Italia degli anni ’50 era ancora un paese povero e sottosviluppato, ma la capacità di riconoscere l’importanza delle materie prime per la crescita del paese fece dire ad Enrico Mattei, rivolto a Vittorio Valletta, amministratore delegato della Fiat “se in questo paese sappiamo fare le automobili, dobbiamo saper fare anche la benzina”.

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È stato un trader nel settore dei metalli per lungo tempo, lavorando con alcune importanti aziende del settore in Italia e in Europa. Esperto in metalli rari, è consulente presso un'azienda svizzera leader sul mercato internazionale di questi metalli. Da qualche anno è impegnato anche nella divulgazione giornalistica del mondo dei metalli rari e delle materie prime. Il suo profilo professionale è su LINKEDIN.