Sovranità industriale? Il caso interessante dell’alluminio francese

La guerra in Ucraina ha messo in luce la grande dipendenza dell’Europa dal gas russo e da molte materie prime come l’alluminio, fondamentale per il tessuto industriale europeo.

Ormai lo hanno capito anche i sassi. Il sistema industriale dell’Unione Europea (UE) dipende dal gas russo e da molte altre materie prime come l’alluminio. Anche la produzione europea di alluminio (dai semilavorati ai prodotti finiti ultrasofisticati), così essenziale per l’apparato industriale, dipende dalle forniture russe.

Finalmente, almeno una piccola parte dell’opinione pubblica sta cominciando a riflettere su cosa è davvero importante per l’economia e il benessere di una società. Sempre più persone cominciano a capire che sono l’energia e le materie prime l’asse portante anche dell’economia italiana e non, come qualcuno crede, il turismo o la moda, senza nulla togliere ai vari travel e fashion influencers.

Il paese inventore dell’alluminio

A questo proposito, è interessante il caso della Francia, paese inventore dell’alluminio (in termini di produzione industriale) e primo produttore mondiale di bauxite fino al 1939.

Il paese consuma ogni anno tra 1,2 e 1,3 milioni di tonnellate di alluminio, il che significa che consuma circa 5 milioni di tonnellate di bauxite (per ogni tonnellata di metallo sono necessarie circa 4 tonnellate di bauxite). Tuttavia, non estrae bauxite ne trasforma allumina (quella che poi serve per ottenere l’alluminio).

D’altronde, i grandi giacimenti di bauxite (molto abbondanti nella crosta terrestre), così come gli stabilimenti per la raffinazione, si trovano in Australia, Guinea, Stati Uniti e Brasile. Quindi, Parigi è totalmente dipendente dall’estero per le prime due fasi della catena del valore dell’alluminio.

Dalle 600 alle 700mila tonnellate annue di produzione nazionale

Ciò nonostante, la Francia ha mantenuto la sua capacità industriale di produrre alluminio primario grazie alle sue 2 fonderie Aluminium Dunkerque (alimentata da una centrale nucleare) e Trimet Saint-Jean-de-Maurienn (alimentata da una diga idroelettrica). Naturalmente, entrambe le fonderie importano allumina per poter produrre alluminio in pani, billette, fili, ecc. ecc. L’attuale produzione nazionale è di circa 600.000-700.000 tonnellate all’anno, sufficiente a coprire il 50% del fabbisogno nazionale. Di conseguenza, il paese deve importare l’alluminio che manca, oltre all’allumina che serve a questi 2 impianti e cioè circa 1,2/1,4 milioni di tonnellate (occorrono 2 tonnellate di allumina per produrre 1 tonnellata di alluminio).

Nel mondo, tra le maggiori raffinerie di allumina, oltre alle gigantesche fabbriche cinesi, c’è anche la norvegese Norsk Hydro che gestisce la più grande raffineria di allumina del mondo presso il sito di Alunorte in Brasile.

L’unico impianto di allumina in Europa è della Rusal

Inoltre, esiste in Europa (Irlanda) un impianto di lavorazione della bauxite-allumina, che appartiene al colosso russo Rusal e che fino a poco tempo fa era alimentato al 70% da bauxite proveniente dalla Guinea e dal Brasile. Questo impianto è vitale per l’alluminio francese visto che da qui arriva l’85% delle importazioni di allumina. Inoltre, per completare il quadro, l’impianto irlandese di allumina viene energeticamente alimentato per il 57% da gas e per il 22% da eolico.

Da quanto detto è evidente che non è l’alluminio l’elemento strategico per la Francia e più in generale per l’Europa, ne la bauxite presente in molti angoli del globo. L’elemento strategico per tutta l’Europa è l’allumina e, quindi, le raffinerie che trasformano la bauxite in allumina.

Purtroppo, in tutti questi anni, non è stato fatto nulla per ridurre la dipendenza dell’Europa dall’allumina importata. Anche perché il problema non è semplice da risolvere visto che, alla base, quello che muove tutto è l’energia con cui si alimentano le raffinerie. E, in termini energetici, l’Europa è messa proprio male.

La carbon tax europea mette fuori gioco l’allumina prodotta con molte emissioni di CO2

Inoltre, come tutti sanno, nella UE esiste la carbon tax che penalizza in termini di costi le fonti energetiche sporche. In Guinea non esiste un reattore nucleare, mentre l’Australia è famosa per la sua elettricità a carbone. Quindi, se l’Europa importasse allumina prodotta da elettricità con alte emissioni di CO2, l’aumento del prezzo dell’alluminio, per effetto della carbon tax, sarebbe insostenibile.

L’unico paese europeo dove sarebbe possibile raffinare bauxite per ottenere allumina è la Francia, grazie alla sua importante produzione di energia elettrica dal nucleare. Purtroppo, produrre allumina genera i cosiddetti fanghi rossi, innegabilmente inquinanti, anche se ricchi di metalli rari (una tonnellata di allumina prodotta genera una tonnellata di fango rosso contenente titanio, ferro, terre rare, scandio, alluminio, etc etc.). Come facilmente immaginabile, nessuno in Francia vuole fanghi rossi.

L’incoscenza di Bruxelles: interventisti contro Putin ma immobili davanti ai danni al sistema industriale

Certamente la situazione è complessa, ma non fare nulla, è da incoscienti. Ci troviamo alle prese con il prezzo dell’elettricità aumentato dal 40% all’80% del costo dell’alluminio e molte fabbriche europee di primario vengono chiuse a causa dei costi energetici insostenibili.

Bruxelles ha deciso in fretta e furia di intraprendere la strada della sovranità energetica, abbandonando le forniture russe e mettendosi muro contro muro con Putin. Adesso, deve decidere anche come implementare una sovranità industriale europea, di cui l’alluminio dovrebbe costituire una parte fondamentale. E più tempo la politica aspetta a intervenire e maggiori saranno i danni irreparabili per il tessuto industriale del continente.

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