Saranno le terre rare a stroncare la leadership dell’Europa?

Mentre i cittadini europei sono sempre più confusi e sconcertati riguardo alla transizione verde, emergono sempre più chiaramente le contraddizioni e l’insostenibilità di un modello energetico dettato più dall’ideologia che da scelte ragionate.

Per decenni, l’Europa ha esternalizzato in maniera crescente industria, manifattura, produzione e lavorazione delle materie prime in paesi a basso salario. Nel contempo, ha chiuso gli occhi sulla sostenibilità (ma sarebbe meglio dire sulla sua mancanza) dei prodotti importati visto che la cosa rendeva bene in termini economici, almeno nel breve termine.

Tuttavia, le conseguenze della pandemia e della guerra in Ucraina stanno facendo oscillare il pendolo dall’altra parte. L’Unione Europea (UE) si trova oggi davanti alla spiacevole consapevolezza di dipendere eccessivamente dai paesi terzi per le materie prime necessarie per realizzare la sua trasformazione verde e digitale, in un panorama geopolitico sempre più teso.

L’obbligo di comprare auto elettriche ha impatti ambientali pesanti

In questo contesto è esemplare il caso delle terre rare e, in genere di gran parte dei metalli rari (litio compreso). I governi dei paesi europei sembrano quasi voler obbligare i cittadini a comprare auto elettriche che solo in termini di terre rare ne contengono circa un quarto di chilogrammo a vettura (e non stiamo parlando delle batterie). Come noto, l’intero ciclo estrattivo e produttivo di terre rare è energivoro e ad alto impatto ambientale (alcuni studi stimano che il consumo complessivo per ottenere gli elementi contenuti in una singola autovettura sia di 3 o 4 volte l’energia di un motore endotermico).

Le conseguenze ambientali sono significative, in misura minore o maggiore a seconda del metallo coinvolto ma, in genere, quasi tutti gli elementi delle terre rare hanno un impatto ambientale pesante. Naturalmente, come altre attività estrattive, consumano molta acqua, acidi solforici e nitrici che, soprattutto in paesi con poche regole e controlli, vengono poi scaricati direttamente nel terreno o in mare.

Inquinare sì, ma non in Europa

Quest’ultime considerazioni sono molto chiare ai politici europei tanto che, nonostante esistano giacimenti di terre rare in Germania, Svezia, Francia e in altri paesi del continente, nessuno vuole estrarle ne tanto meno raffinarle. Molto meglio pagare paesi più poveri per inquinare lontano dall’Europa.

A parte il fatto che il pianeta in cui viviamo è lo stesso e le conseguenze ricadranno su tutti gli abitanti della Terra, l’idea europea di esternalizzare l’estrazione e la gestione di metalli critici come le terre rare (ma vale anche per il litio, il cobalto, la grafite e molti altri) ha serie conseguenze geopolitiche. Prima tra tutte il fatto che è la Cina e i suoi alleati a possedere la gran parte delle terre rare e di molti metalli rari. Ciò metterà l’Europa nelle mani della Cina in misura molto maggiore di quanto non sia accaduto con il gas naturale russo. È accettabile una così grande vulnerabilità per un intero continente?

Da qualsivoglia parte lo si guardi, il nuovo modello energetico UE non sta in piedi

Tanto più si analizza da vicino il nuovo modello energetico europeo, tanto più si ha l’impressione che sia stato dettato più dall’ideologia che dal raziocinio, ampiamente propagandato con omissioni e mezze verità (più o meno in buona fede). Per sostenere il sogno verde di un piccolo (in termini di popolazione) continente come l’Europa sarà necessario estrarre nei prossimi 30 anni più minerali di quanto ne siano mai stati estratti nel corso dell’intera storia dell’umanità.

In queste condizioni è difficile prevedere come uscirà l’Unione Europea da questo tunnel in cui si è testardamente infilata. Non è irrazionale pensare che, come molti osservatori ritengono, sarà proprio la questione delle terre rare e dei metalli rari a mettere la parola fine sulla leadership europea.

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