C’era un tempo in cui la professione più diffusa in Italia era quella del CT della nazionale di calcio. Poi è arrivato il coronavirus e tutto è cambiato…
60 milioni di italiani si sono improvvisamente specializzati in virologia e hanno invaso i social media con perle di saggezza che rimarranno nelle bacheche digitali di internet per i posteri, che potranno ricordare le vette raggiunte dalla cultura popolare della rete. Adesso però, con la recessione alle porte, si sono convertiti in esperti economisti. Tutti con le idee molto chiare di come funzioni l’economia e di cosa si debba fare per affrontare la drammatica crisi innescata dalla pandemia di COVID-19.
Ma per quei pochi che non sono ancora riusciti a mettere insieme in fretta e furia almeno un Master in Economia, potrebbe venire utile capire a grandi linee da cosa è davvero costituita la ricchezza della nostra economia.
L’ottava potenza economica ma… fino a quando?
Dal punto di vista economico l’Italia è stata, a partire dal dopoguerra, uno dei paesi più dinamici d’Europa. È passata in pochi anni da un’economia essenzialmente agricola ad una grande economia industriale. Attualmente (ma fino a quando?), l’Italia rappresenta l’ottava potenza economica del pianeta per PIL nominale (World Bank, 2017-2018).
Come in tutte le altre economie avanzate del continente europeo, il settore che fa la parte del leone è quello dei servizi, con oltre il 70% del PIL. A seguire c’è l’industria (circa 20%), le costruzioni (circa 4%) e l’agricoltura (circa 2%).
Per molti sarà una sorpresa notare che il settore agricolo sia così poco rilevante. Tuttavia, non va dimenticato che i prodotti agricoli hanno un basso contenuto innovativo, con scarse possibilità di incrementare il loro valore aggiunto unitario. Di conseguenza, finiscono per subire la concorrenza dei paesi in via di sviluppo. Di fatto, anche tornando indietro nel tempo (1960) il settore valeva appena il 4,6% del PIL nazionale.
Il turismo vale oltre 3 milioni di posti di lavoro
Se puoi andiamo a vedere all’interno del settore dei servizi scopriamo che il il turismo rappresenta una delle attività più redditizie, con circa il 13% del PIL totale. Un valore superiore alla media dei paesi UE e dell’economia mondiale nel suo complesso (ma in Grecia, Spagna e Portogallo il turismo contribuisce al PIL nazionale con una percentuale maggiore che in Italia).
In termini di occupazione si tratta di quasi 3,4 milioni di posti di lavoro, pari a circa il 15% del totale. Nel resto del mondo la media è di circa il 10% (dati Banca d’Italia riferiti al 2017).
Con queste cifre in mente, si possono ben comprendere le enormi preoccupazioni per il contraccolpo negativo di questa pandemia sul turismo nel nostro paese.
È vero che siamo in buona compagnia visto che, secondo il World Travel & Tourism Council (WTTC), in tutto il mondo sono a rischio circa 50 milioni di posti di lavoro, con Filippine, Thailandia e Grecia che soffriranno più di tutti. Ma anche l’Italia, con 94 milioni di turisti stranieri nel 2019, non se la passerà molto meglio.
Arriveremo alle “travel bubbles” (possibilità di spostarsi liberamente tra paesi o regioni che hanno bassi tassi di infezione) come stanno già pensando nei paesi baltici, in Australia e in Nuova Zelanda?
Di certo, stanno per arrivare tempi straordinariamente difficili per gli imprenditori turistici del nostro paese.
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