Non è la domanda che sta spingendo in alto i prezzi dell’alluminio

Che cosa sta spingendo tanto in alto i prezzi dell’alluminio? Per quanto tempo rimarranno a livelli così alti? Ecco un’analisi di mercato per aiutare i consumatori a capire cosa sta succedendo.

C’era chi pensava che il 2020 fosse stato un anno sorprendente come non mai. Tuttavia, anche quest’anno le sorprese sono state sbalorditive, almeno per quanto riguarda i consumatori di alluminio.

La corsa dell’alluminio che ha portato i prezzi a livelli record è stata sempre accompagnata dal dubbio dei consumatori che si domandavano per quanto tempo ancora avrebbe potuto continuare. Ma più dubbi c’erano e più in alto andavano le quotazioni.

L’allentamento della domanda non riesce a calmare i prezzi

Non è bastato credere che, dopo la ripresa delle economie globali a seguito dei blocchi pandemici, la domanda si sarebbe allentata e i prezzi sarebbero diminuiti. Infatti, l’attuale rigidità del mercato dell’alluminio ha altra cause.

Il nome del problema che affligge i consumatori di tutto il mondo è uno solo: offerta ristretta.

È vero che la domanda per ricostituire le scorte in Europa e in Nord America dopo la pandemia è stata alta. Così come è stato un incubo il mercato della logistica che ha ostacolato le consegne e aumentato i costi. Ma, anche secondo un recente articolo di Reuters, è stata la carenza di offerta a squilibrare il mercato, principalmente in Cina e, in misura minore, tra i produttori occidentali.

La Cina è in piena crisi per la scarsità di forniture di carbone e per l’inasprimento degli standard sulle emissioni inquinanti. Inoltre, la forte domanda da parte dell’industria ha spinto i prezzi del carbone a livelli record. Di conseguenza, la Cina ha implementato il razionamento energetico durante le ore di punta in molte zone del paese. Persino alcuni clienti residenziali sono alle prese con tagli e interruzioni delle forniture energetiche.

Con l’avvicinarsi dell’inverno, è probabile che il razionamento vada a penalizzare ulteriormente il settore industriale piuttosto che quello privato. La ragione è abbastanza intuitiva. Se venissero penalizzati i consumatori residenziali, che in alcune province devono affrontare temperature sotto lo zero, l’eventuale mancata di forniture per il riscaldamento potrebbe scatenare disordini sociali.

Acciaio, alluminio e cemento i settori cinesi più colpiti dal razionamento energetico

In un contesto di scarse forniture di carbone, l’inasprimento degli standard sulle emissioni ha costretto alcune province cinesi a razionare la produzione di energia elettrica a carbone. I limiti alla produzione hanno colpito particolarmente il settore dell’acciaio, dell’alluminio e del cemento. Si è persa circa il 7% della capacità produttiva di alluminio.

Mentre sono state tagliate circa 2,33 milioni di tonnellate all’anno di capacità fusoria (fonte: Reuters), l’aumento pianificato di 1,8 milioni di tonnellate potrebbe essere messo in atto gradualmente, non prima del 2022. Ciò significa che la carenza di alluminio perdurerà e i prezzi aumenteranno.

L’offerta extra Cina non va meglio

Al di fuori della Cina l’offerta di metallo non se la passa molto meglio. Alcoa, per esempio, è ancora ferma a circa il 20% della sua capacità totale. Ciò non è dovuto a una mancanza di domanda o prezzi bassi, ma alle limitazioni nella fornitura di energia. Anche il riavvio da parte dell’azienda della fonderia brasiliana di Alumar dopo sei anni di inattività non riuscirà a far raggiungerà la piena capacità per i problemi idroelettrici del paese a seguito della siccità.

È vero che il prossimo anno gli inventari di molti consumatori saranno stati riequilibrati e che le spedizioni globali torneranno verso la normalità, ma è anche vero che l’offerta di alluminio rimarrà limitata fino alla metà del prossimo anno.

Ci sono tutte le premesse affinché i prezzi dell’alluminio possano superare i 3.000 dollari a tonnellata (oggi, 27 settembre, il contratto a 3 mesi quota 2.903 dollari), ma non solo… i prezzi manterranno questi livelli ancora per molti mesi.

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