Si è svolto ieri a Bruxelles la giornata di studio sulle Migrazioni Qualificate, promossa dall’Istituto di Studi Politici S. Pio V e dal Centro Studi e Ricerche Idos.
È l’occasione per fotografare l’anomalo caso italiano dei numerosi laureati che sono costretti a emigrare poiché non trovano un’adeguata collocazione in patria o non la trovano per niente. Dall’Italia stanno emigrando sempre più laureati e diplomati, mentre gli italiani che rimpatriano con lo stesso livello di istruzione sono pochissimi.
I numeri sono abbastanza esplicativi: 400.000 laureati italiani emigrati all’estero e circa 500.000 laureati stranieri presenti in Italia. Sia i primi che i secondi, per motivazioni diverse, destinati a non tornare in Italia.
Di fatto, la scarsa capacità del sistema italiano di offrire posti di lavoro adeguati ai laureati, sia italiani che stranieri, genera lavoratori sovra-istruiti rispetto alle mansioni assegnate, una condizione che riguarda circa il 20% tra gli occupati italiani e ben il 40% tra quelli immigrati.
Anche medici, infermieri, avvocati, architetti e ingegneri, una categoria quest’ultima particolarmente apprezzata (il Politecnici di Torino e Milano figurano, per prestigio, tra i primi 50 atenei del mondo), non trovano il Italia alternativa migliore se non quella di emigrare.
Un paese con una disponibilità di personale qualificato già limitata, perde molti laureati che preferiscono espatriare all’estero dove trovano migliori opportunità di farsi riconoscere il proprio merito, nonché di ottenere posti e retribuzioni più soddisfacenti. Nel solo 2015, si stima che siano emigrati 27.000 diplomati e 24.000 laureati, rispettivamente il 35% e il 30% dei 102.259 connazionali che si sono cancellati dai registri anagrafici dei propri comuni per trasferirsi all’estero. Sono cifre che lasciano di stucco se paragonate con i 3.300 laureati che hanno lasciato il Bel Paese tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del nuovo secolo.
Ma i dati macroeconomici mostrano un Italia in ritardo cronico rispetto all’Unione Europea (UE), anche per livelli di formazione, con un’incidenza dei laureati tra i 30 e i 34 anni del 23,9% della popolazione, contro una media europea del 38%. Solo il 25% dei manager è laureato, contro il 54% nell’UE. Gli investimenti in ricerca e sviluppo sono l’1,3% del PIL contro il 2,2% della media UE. I ricercatori in Italia sono 2 volte di meno rispetto alla Francia e al Regno Unito, 3 volte di meno rispetto alla Germania, 9 volte di meno rispetto al Giappone e 13 volte di meno rispetto agli Stati Uniti.
Un quadro davvero desolante, ben rappresentato dalla testimonianza della planetologa Amara Grasp, pubblicata qualche anno fa su Le Scienze: “Se sapesse che cosa significa tentare una carriera scientifica in Italia, nessuna persona sana di mente accetterebbe l’impegno”.