Il 2018 è stato un anno di gran corsa per il dollaro. La riduzione delle imposte per le società, la politica della Federal Reserve americana (FED) e l’introduzione di dazi sulle importazioni negli Stati Uniti, hanno spinto il biglietto verde in alto.
Questi interventi sono stati messi in atto specificamente per aiutare i repubblicani nelle elezioni di metà mandato di novembre, ma è improbabile che abbiano un effetto positivo duraturo.
Un super dollaro grazie al QE
Secondo il Financial Times, dalla fine del 2010, il dollaro ha recuperato il 35% in termini generali e il 50% rispetto alle valute dei mercati emergenti, mentre il rendimento delle azioni statunitensi è stato del 430%.
Tutti guadagni provocati indirettamente dal massiccio Quantitative Easing (QE) negli Stati Uniti e in Europa. I fondi di investimento sono infatti usciti dai mercati emergenti e sono tornati con i loro soldi ad approfittare del QE. Probabilmente, finito il QE, dovrebbe accadere il contrario, con i fondi d’investimento che torneranno verso i mercati emergenti.
Dal punto di vista delle materie prime, ciò sarà importante per l’impatto che produrrà sul biglietto verde.
Nel 2018 la forza del dollaro è stata un fattore che ha depresso i prezzi delle commodity. Ma quando il biglietto verde si indebolirà rispetto ad un più ampio paniere di valute, si potrebbe avere un effetto inflazionistico sui prezzi.
Resta da vedere quanto sarà veloce l’indebolimento del dollaro americano.
Conseguenze per le materie prime
Naturalmente, l’andamento del dollaro è solo una delle numerose dinamiche che incidono sul prezzo delle materie prime, ma è indubbio che sia il fattore più importante. Gli altri fattori includono la crescita o decrescita del PIL, dei mercati azionari e del QE.
Per ora, i prezzi delle commodity sono sotto pressione, ma se il dollaro comincerà la retromarcia nel 2019, le cose potrebbero mettersi molto diversamente.
METALLIRARI.COM © SOME RIGHTS RESERVED