Per i produttori di alluminio il passaggio dalle stelle alle stalle è stato decisamente rapido.
Nella prima metà di quest’anno i prezzi del metallo erano arrivati a livelli assai remunerativi ma, adesso, i mercati si sono girati. Il prezzo dell’alluminio a tre mesi del London Metal Exchange (LME) è crollato da un massimo storico di 4.073,50 dollari per tonnellata (marzo 2022) agli attuali 2.457 dollari (22 luglio 2022).
Per esempio, Alcoa, una delle aziende più grandi del settore, ha dichiarato un prezzo medio di vendita di 3.864 dollari per tonnellata nel secondo trimestre di quest’anno, contro i 2.753 dollari dello stesso periodo del 2021. Una festa per gli azionisti che beneficeranno di un riacquisto di azioni da 500 milioni di dollari.
Ridurre la produzione sperando in tempi migliori
Ma, come accennato, il mercato ha cambiato faccia e le prospettive si sono rapidamente capovolte, mentre la paura della recessione è entrata nelle stanze dei Consigli d’Amministrazione. L’aumento dei prezzi dell’energia e la conseguente compressione dei margini sono diventati gli incubi di chi produce alluminio, dal momento che il processo produttivo è ad alta intensità energetica. L’unica strada percorribile per i produttori è di ridurre o sospendere la produzione in attesa di tempi migliori.
Il fenomeno è particolarmente visibile in Europa, dove la crisi energetica morde più che altrove. Secondo l’International Aluminium Institute (IAI), la produzione di alluminio primario in Europa occidentale è diminuita dell’11,5% nella prima metà dell’anno. Di fatto, la produzione annualizzata è scesa al di sotto dei 3 milioni di tonnellate per la prima volta in questo secolo.
La lista delle vittime delle nuove condizioni di mercato si allunga quasi giorno dopo giorno. Alcoa ha fermato il suo impianto spagnolo da 228.000 tonnellate all’anno. La fonderia di Podgorica (Montenegro) è stata chiusa, così come quella della ALRO in Romania. La Slovalco (Slovacchia), proprio in questi giorni, ha deciso di chiudere la produzione delle sue 160.000 tonnellate all’anno.
Vedremo un aumento della produzione di Rusal?
Paradossalmente, la situazione che si è venuta a creare con la guerra delle sanzioni, che hanno fatto esplodere la crisi energetica, potrebbe portare ad un aumento della produzione della Rusal, il gigante dell’alluminio russo, attualmente non colpito da sanzioni e che, fino ad ora, non ha rilasciato i dati sulla sua produzione di quest’anno.
Le sofferenze di chi produce alluminio contagiano anche la raffinazione di allumina (la materia prima che serve per produrre il metallo). Come riferisce Reuters, la romena ALRO, dopo lo stop alle sue 132.500 tonnellate di capacità di alluminio primario, sta ora chiudendo il suo impianto di allumina.
Ma quello che preoccupa seriamente tutti gli operatori del settore è che non vi è alcun segnale che la situazione possa migliorare, anzi… Tutto lascia pensare che la crisi energetica, soprattutto in Europa, peggiorerà.
I produttori soffrono anche negli Stati Uniti e in Cina
Non che in altre zone del mondo le cose vadano tanto meglio per chi produce alluminio. Negli Stati Uniti, Century Aluminium sta fermando la sua fonderia di Hawesville per il costo dell’energia triplicato. Inoltre, Alcoa sta fermando una parte della fonderia di Warrick, in Indiana.
In Cina la produzione di alluminio è attualmente in ripresa, ma anche qui c’è una forte pressione alla compressione dei margini. Secondo AZ Global Consulting, i recenti cali delle quotazioni significa che circa la metà della capacità produttiva cinese sta operando in perdita.
Il grosso problema di cui nessuno vuole parlare: l’energia rinnovabile
Non è certo una novità che sia l’energia a determinare la buona o cattiva sorte di chi produce alluminio. Tuttavia, questa volta, lo shock della guerra in Ucraina e della guerra delle sanzioni di cui non si intravede una fine è stato significativo. Ma non è solo questo il problema, anzi, probabilmente si tratta di un fattore meno importante e solo di breve termine tra quelli che hanno provocato la crisi energetica. Il punto centrale è invece la spinta globale verso l’energia rinnovabile, che richiede enormi cambiamenti nella struttura e nell’efficienza della rete. Qualcosa che le fonderie cinesi hanno già sperimentato sulla propria pelle nel 2021 e che adesso tocca anche i produttori occidentali.
L’energia a basso prezzo in Europa sarà una chimera per lungo tempo e le conseguenze saranno pesanti per tutto il sistema produttivo del continente, alluminio in primis.
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