L’anno appena terminato si è chiuso decisamente bene per l’alluminio, che deve però ringraziare tutti gli annunci fatti, o che erano attesi, del governo cinese.
Infatti, nel corso del 2017, la Cina ha deciso di tagliare la produzione di fonderie e di raffinerie in 28 diverse città del 30%, con l’obbiettivo di ridurre l’inquinamento atmosferico durante i mesi invernali. Inoltre, sono stati chiusi una serie di impianti che non erano in regola con le autorizzazioni, per un totale stimato dai 3 ai 4 milioni di tonnellate.
Giocoforza che i prezzi del metallo si siano spostati verso l’alto, chiudendo l’anno a 2.252 dollari per tonnellata (contratto a 3 mesi del London Metal Exchange), il livello più alto da 5 anni a questa parte.
L’alluminio nel 2017
Tuttavia, permangono dei dubbi su quale impatto avranno i tagli produttivi della Cina. Mentre a novembre, per il quinto mese consecutivo, la produzione di alluminio cinese è scesa, i tagli programmati non sono stati rigorosamente rispettati. Secondo il CRU Group, la riduzione è stata soltanto di circa 600.000 tonnellate annue, assai lontana dall’obbiettivo di 3 milioni di tonnellate. Inoltre, China Hongqiao Group, il più grande produttore del paese, ha dichiarato che ha intenzione di spostare gli impianti al di fuori della Cina. Un motivo per il quale gli investitori rimangono scettici circa il reale impatto che avranno i tagli produttivi cinesi sulle forniture globali di metallo.
Ma il 2017 è stato anche l’anno delle tensioni tra Cina e Stati Uniti. Ad aprile, il Dipartimento del Commercio americano ha iniziato le indagini per capire se le importazioni di alluminio cinesi rappresentano una minaccia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Infatti, c’è solo un’azienda americana che produce alluminio ad elevata purezza, indispensabile per la produzione di aerei da combattimento. Un modo per preannunciare l’imposizione di dazi sulle importazioni di alluminio. Ecco perché, quando il mercato ne è venuto a conoscenza, i prezzi delle azioni dell’Alcoa sono cresciuti mentre quelli della Aluminum Corporation of China sono scesi.
All’opposto, il Ministero del Commercio cinese ha protestato, dicendo che l’atteggiamento americano provocherà danni agli scambi commerciali tra i due paesi.
Tutto ciò in un contesto che, dal 2000 ad oggi, ha visto la quota della Cina sul mercato globale dell’alluminio passare dall’11% a circa il 53%. Durante lo stesso periodo, la produzione di alluminio degli Stati Uniti è scesa del 77%, mentre la quota di mercato globale statunitense e scesa dal 16% a meno del 2%.
Cosa succederà all’alluminio nel 2018?
Guardando al mercato globale, Rio Tinto prevede che la domanda di alluminio crescerà del 4% all’anno per i prossimi cinque anni, beneficiando dell’espansione della mobilità elettrica, dal momento che i veicoli elettrici richiedono più alluminio rispetto a quelli convenzionali. Anche Citigroup crede che nel 2018 e nel 2019 il consumo mondiale di alluminio raffinato crescerà tra il 3% e il 4%.
Parlando invece di prezzi, FocusEconomics prevede un prezzo medio di 2.003 dollari per gli ultimi mesi del 2018, con un massimo di 2.300 dollari e un minimo di 1.779 dollari.
In ogni caso, i fattori che gli investitori dovranno tenere sotto controllo durante il nuovo anno sono due: la capacità produttiva cinese (a metà marzo, finito l’inverno, la produzione potrebbe riprendere a pieni ritmi) e la minaccia di una guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina.
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