I minatori-artigiani di diamanti della Sierra Leone

Per i 120.000 minatori-artigiani di diamanti della Sierra Leone, la sopravvivenza quotidiana è un’impresa tutt’altro che scontata.

In Europa la professione di minatore-artigiano non esiste.

Ma tra Africa e Sud America ci sono un milione e mezzo di persone che, per sopravvivere, scavano il terreno alla ricerca di diamanti con attrezzature rudimentali e in condizioni lavorative che ricordano quelle degli schiavi. Si stima che il 20% di tutti i diamanti di qualità prodotti nel mondo, provengano dal lavoro dei minatori-artigiani.

Uno dei paesi più drammaticamente coinvolto in questo fenomeno è la Sierra Leone. In questo paese esistono 120.000 minatori-artigiani che per mesi non trovano un diamante e che sono disperatamente poveri. Ma in un paese in cui la disoccupazione giovanile è del 70%, questo lavoro offre qualche possibilità di sopravvivere.

In mezzo a fango, sabbia e ghiaia per cercare a mani nude i diamanti

La Sierra Leone è uno degli stati africani con la più alta densità di popolazione e, secondo un rapporto dell’ONU del 2010, il paese risulta alla 180ª posizione al mondo, su 187, in termini di Indice di Sviluppo Umano (ISU o HDI).

Secondo lo US Geological Survey, le attività su piccola scala nelle miniere alluvionali coinvolge singoli lavoratori che spulciano fango, sabbia e ghiaia con pale, setacci o a mani nude. Un lavoro poco produttivo, senza alcuna sicurezza e, tendenzialmente, ad elevato impatto ambientale. Inoltre, al di fuori di ogni quadro giuridico e normativo.

Un servizio della BBC ha evidenziato come il prezzo di vendita  a Koidu, nel distretto diamantifero di Kono, sia di 3.200 dollari a carato, per pietre pure al 40% e molto meno per le gemme di purezza inferiore. Quando le cose vanno molto bene, un minatore-artigiano riesce a guadagnare 35 dollari al giorno.

Undici anni di guerra civile

Ma la situazione del settore diamantifero in Sierra Leone è ancora peggiore. Per molti anni, gruppi di ribelli, dopo undici anni di guerra civile, avevano preso il controllo delle aree minerarie alluvionali nel nord del paese, riuscendo a finanziare le loro guerre sanguinarie vendendo pietre preziose agli acquirenti internazionali.

Il brutale conflitto nel 1990 in Sierra Leone, ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale il problema dei cosiddetti diamanti insanguinati. Di conseguenza, nel 2000, i sostenitori dei diritti umani hanno organizzato l’accordo di Kimberley. In questa occasione decine di paesi hanno deciso di certificare i diamanti per assicurare che siano conflict-free, in modo che non possano entrare nei canali di vendita internazionali pietre provenienti da zone di guerra.

Oggi, il 99% delle  forniture mondiali di diamanti proviene da paesi stabili. Tuttavia, secondo gli esperti, esistono ancora un piccolo numero di paesi lacerati da conflitti civili, come per esempio la Sierra Leone, dove il traffico illecito di diamanti (e altri minerali) è vivo e vegeto.

Inoltre, secondo i critici dell’accordo di Kimberley, alcuni governi che vi hanno aderito non ne rispettano la volontà. Preferiscono continuare ad alimentare la rete dei contrabbandieri, anche grazie ad alcune lacune dell’accordo che permettono ai diamanti di finire nelle mani dei consumatori.

In Sierra Leone esistono compagnie minerarie che rispettano gli accordi di Kimberly. La più grande miniera gestita dalla Octea, di proprietà della BSG Resources, è fornitrice dei gioiellieri Tiffany & Co. Tuttavia, il problema dei minatori-artigiani rimane intatto, in tutta la sua drammaticità e nel progressivo dimenticatoio dell’opinione pubblica di tutto il mondo.

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