Turchia: colpi di stato e tensioni geopolitiche non fermano l’economia

Un fallito colpo di stato militare e le tensioni geopolitiche del Medio Oriente non hanno impedito all’economia della Turchia di crescere più del previsto.

Nel 2017, l’economia turca è sorprendentemente cresciuta del 7,4%.

I dati arrivano dal Turkish Statistical Institute e mostrano una crescita ben al di sopra della maggior parte delle previsioni, con il più alto tasso di crescita dal 2013. Non esiste nessun altro paese nell’OCSE o nel G20 che abbia registrato performance del genere.

Probabilmente, questi numeri rafforzeranno le possibilità di rielezione del presidente Erdoğan. Infatti, sorprendendo i mercati, ha indetto le elezioni presidenziali e parlamentari per il 24 giugno. I motivi delle elezioni anticipate sembrano essere le tensioni geopolitiche nella vicina Siria e il desiderio di Erdoğan di liberare il paese dalle “malattie del vecchio sistema“.

Tornando all’economia, la straordinaria crescita è andata oltre le aspettative delle autorità e degli economisti. Date le tensioni politiche e gli squilibri economici interni, insieme a un deterioramento del quadro geopolitico, molti analisti si aspettavano una crescita economica inferiore. Ma l’edilizia (+9%), i servizi (+10,7%) e persino l’agricoltura (+4,7%) hanno trascinato la crescita.

L’ossessione di Erdoğan per la crescita

Senza dubbio, il principale fattore di sviluppo è stato il Fondo di Garanzia del Credito (CGF). Questo strumento è stato creato per fornire garanzie governative a basso costo per i crediti vantati dalle imprese turche. Ispirato al fondo di garanzia del credito esistente in Corea del Sud, lo scorso anno il CGF ha fornito 250 miliardi di lire turche (62 miliardi di dollari) di credito a tutta l’economia. A quanto pare, la domanda di credito nel paese a sostegno dell’esportazione rimane forte e, secondo Ziraat Bank, i prestiti e le attività sono aumentate del 5% nel primo trimestre del 2018.

Naturalmente, la crescita è anche aiutata dalla ripresa globale in corso, in particolare all’interno dell’Unione Europea, il mercato più importante per la Turchia.

Dal punto di vista di Erdoğan, con le elezioni anticipate alle porte e i controversi assalti militari in corso contro i militanti curdi in Siria, l’elevata crescita del PIL è diventata una sorta di ossessione. Il governo prevede un aumento di circa il 5,5% per quest’anno e per il prossimo, contro un più modesto 4,3% del Fondo Monetario Internazionale (FMI).

Il nervosismo degli investitori

I segnali indicano che la crescita continuerà, ma ad un ritmo più lento. Una buona cosa, dato che l’anno scorso molti pensavano che l’economia turca si stesse surriscaldando; infatti, il deficit delle partite correnti aveva raggiunto 47,1 miliardi di dollari contro i 32,6 miliardi di dollari del 2016 (circa il 4,6% del PIL). La crescita era al di sopra del potenziale e gli investitori erano preoccupati; ecco perché la lira turca, dall’inizio del 2015, ha perso il 45% del suo valore rispetto al dollaro.

L’incapacità della banca centrale turca di reagire alla caduta della lira, l’elevata inflazione e il disavanzo delle partite correnti, guidato dal surriscaldamento dell’economia, ha innervosito gli investitori. Attualmente, i rendimenti obbligazionari della Turchia sono superiori a quelli dell’Egitto, nonostante il paese abbia un rating creditizio sovrano più elevato.

Russia e Cina sempre più vicine

Di certo, in questo contesto, il governo turco non è certo stato immobile.

Nel 2018 c’è stata un’ondata di attività diplomatiche, tra cui il vertice Turchia-Iran-Russia, che ha ospitato il presidente iraniano Hassan Rouhani e il presidente russo Vladimir Putin. La Turchia ha accettato di acquistare sistemi di difesa missilistica S-400 a lungo raggio da Mosca, tra l’orrore dei suoi alleati NATO.

Ma Erdoğan sta anche tentando di ampliare le relazioni con la Cina. Infatti, sta cercando fondi per finanziare i suoi ambiziosi piani infrastrutturali con ICBC Turkey, una banca locale cinese, che dovrebbe svolgere un ruolo chiave.

Secondo Fitch Ratings, il 2018, per la Turchia, sarà caratterizzato da una progressiva normalizzazione dell’attività economica, con una crescita e un’inflazione più moderate, mentre le esportazioni continueranno ad essere determinanti. Tuttavia, molto dipenderà dalle prossime mosse politiche di Erdoğan, sul quale gli investitori non toglieranno di certo gli occhi di dosso.

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