Estrarre minerali dal fondo marino è un’attività relativamente nuova, anche se la prima idea risale al 1870.
Alcune aziende, hanno intrapreso questa strada per recuperare gli elementi delle terre rare. Una di esse, la Ocean Minerals, lo scorso settembre, ha firmato un accordo per i diritti esclusivi per l’esplorazione di terre rare sui fondali delle Isole Cook, nel Sud Pacifico (vicino alla Nuova Zelanda).
La ricerca di terre rare al di fuori della terra ferma, ha la sua ragione nell’incertezza delle forniture provenienti dalla Cina, attualmente il più grande produttore del mondo. L’attenzione a riguardo delle Isole Cook risale al 2014, quando sono stati scoperti giacimenti marini ricchi non solo di terre rare, ma anche di scandio, uno tra i metalli rari più scarsi.
Secondo gli esperti, nel settore delle terre rare, l’esplorazione mineraria dei fondali marini è destinata a crescere, sia perché i sedimenti marini contengono minerali diversi da quelli terrestri e sia perché ci sono meno problemi ambientali associati con l’estrazione.
Certo, un’attività mineraria sottomarina non è del tutto invisibile all’ambiente oceanico e potrebbe creare disagi per alcune specie di pesci e di mammiferi, come le balene, a causa dei rumori e dell’illuminazione prodotti nel corso dei lavori. Tuttavia, sarebbero problemi che potrebbero essere affrontati e risolti con relativa facilità e, comunque, meno drammatici di quelli che si creano con l’estrazione in superficie.
A cinque chilometri sotto la superficie del mare, tutti gli scarichi si dissolvono naturalmente. Inoltre, le pressioni elevate e la mancanza di luce provocano l’assenza di forme di vita vegetale, con un impatto ambientale dell’attività estrattiva quasi nullo.
Un altro vantaggio delle miniere nei fondali marini è l’assenza di elementi radioattivi e il fatto che i residui prodotti dall’estrazione rimangono in fondo all’oceano, senza alcun impatto con la superficie, ne tanto meno con le persone.
A grandi linee, il processo di estrazione è condotto da un dispositivo cingolato sul fondo dell’oceano, collegato con un tubo alla nave e che pompa tutto il materiale estratto in superficie. La lavorazione avviene sulla nave, dove gli scarti ottenuti vengono ri-pompati verso gli abissi, dove vanno a riempire le buche scavate in precedenza.
Nel caso di tempeste o di condizioni difficili, i tubi di collegamento vengono staccati per consentire alla nave di spostarsi in una zona sicura e tornare successivamente per ricollegare i tubi e continuare le operazioni.
Come si può facilmente immaginare, esplorare e sviluppare un giacimento minerario in fondo al mare è assai più costoso che in superficie. Tuttavia, il maggiore investimento iniziale potrebbe esser ripagato dai vantaggi appena descritti.
Il futuro per le terre rare potrebbe essere nel fondo degli oceani.