Nessuno si è mai posto il problema, ma sapete quanta CO2 produce una sola sigaretta di marijuana? Oltre 10 chilogrammi. E un intero chilogrammo di prodotto finito? Ben 4.600 chilogrammi di CO2 rilasciati nell’atmosfera.
Il fatto è che le coltivazioni indoor di questo prodotto richiedono tantissima energia. Nel 2011, per esempio, la bolletta energetica di questa industria negli Stati Uniti ammontava a 6 miliardi di dollari all’anno, una cifra che corrisponde al doppio dell’energia spesa da tutte le aziende farmaceutiche messe insieme.
Sempre negli Stati Uniti, si stima che le emissioni di gas serra delle coltivazioni indoor di marijuana siano pari a quelle di 3 milioni di automobili.
Secondo Evan Mills, uno scienziato californiano che si occupa di energia e di cambiamenti climatici, la crescita incontrollata nell’industria della cannabis, alimentata dalla deregolamentazione e da una domanda elevata, sta portando ad un forte crescita delle emissioni di CO2.
Una domanda in forte crescita
Il fattore più importante che caratterizza il settore della cannabis è certamente la forte domanda, amplificata dalla deregolamentazione e dalla decriminalizzazione in Nord America. Negli Stati Uniti molti stati hanno legalizzato la marijuana per uso medico e, in alcuni casi, anche per uso ricreativo. In Canada la legalizzazione è stata totale.
Il boom del mercato è stato improvviso e, dal 2011, le vendite legali di marijuana sono aumentate drasticamente, facendo crescere un settore che negli Stati Uniti vale 10 miliardi di dollari e dà lavoro a 250.000 persone.
Entro il 2025, gli analisti prevedono che il mercato legale della marijuana potrebbe valere 146,4 miliardi di dollari.
Ma coltivare marijuana richiede moltissima energia
La maggior parte delle persone immagina i coltivatori di marijuana come agricoltori con piantagioni e terreni. In realtà, la maggior parte della coltivazione di cannabis avviene al chiuso, in strutture appositamente progettate che utilizzano lampade di calore e sistemi di controllo della temperatura per massimizzare i raccolti nell’arco dell’anno.
Se si prendono in considerazione anche costi energetici come fertilizzanti e acqua, la cannabis è una delle colture a maggiore consumo energetico.
La coltivazione di cannabis genera 6 miliardi di dollari in costi energetici ogni anno e utilizza circa 10 volte più energia per metro quadrato rispetto, per esempio, a un edificio dedicato ad uffici.
Rispetto all’utilizzo aziendale o residenziale, la domanda di energia nelle coltivazioni di cannabis è sbalorditiva. La famiglia media di un paese americano come Boulder Country, in Colorado, usa circa 630 chilowattora. La stessa abitazione (400 metri quadrati) adibita a coltivare la cannabis, utilizza invece 41.808 chilowattora, abbastanza elettricità per alimentare sessantasei case.
La coltivazione della cannabis è un attività di 24 ore, infatti le luci di queste serre restano sempre accese. Mentre la maggior parte delle aziende e delle residenze consumano molta meno energia di notte, chi coltiva marijuana usa costantemente energia. Per fare dei confronti, con la stessa energia che serve per una sola sigaretta di marijuana si possono produrre 18 litri di birra.
Una bolletta energetica che schiaccia
Naturalmente, per i coltivatori la bolletta energetica assorbe una parte significativa dei ricavi. Al momento, questi costi sono gestibili poiché la cannabis è molto richiesta e i prezzi al chilo sono alti. Ma poiché il mercato è saturo, il prezzo scenderà sicuramente e i margini dei produttori verranno inesorabilmente schiacciati.
Di fatto, i prezzi in calo e i margini in calo (oltre alle preoccupazioni generali legate alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica) spingeranno i coltivatori di cannabis e le autorità governative a prendere di mira l’uso di elettricità nel settore della cannabis.
Considerando anche che le quantità di emissioni di CO2 emesse dai coltivatori di cannabis raddoppierà entro il 2020, non ci sono dubbi che quest’industria dovrà apportare molte modifiche ai propri processi produttivi.
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