Italiani in fuga: capitali e cervelli cercano casa

La nuova emigrazione italiana ha poche analogie con il passato e affonda le radici in un diffuso malessere economico, non solo per la mancanza di lavoro ma anche per un sistema fiscale e normativo troppo oppressivo.

30 milioni di emigrati italiani. Gli italiani che dal 1861 (anno dell’unità d’Italia) alla fine del secolo scorso hanno lasciato il proprio paese sono un numero imponente. Ripercorrere la storia della nostra emigrazione può servire a capire e prevedere cosa ci attende nel secolo che stiamo vivendo.

L’emigrazione dei nostri avi, faceva fronte soprattutto ad una crescente pressione demografica, dal momento che ogni famiglia aveva una media di circa 10 figli a carico. Le regioni più interessate furono, la contrario di quanto si potrebbe pensare, Piemonte, Friuli-Venezia Giulia e Veneto. I flussi migratori dal Sud Italia iniziarono successivamente. I paesi di destinazione scelti erano soprattutto le Americhe e l’Australia fino al 1950, successivamente anche i paesi europei.

Il fenomeno odierno degli italiani in fuga è paragonabile con quanto successo nel passato? Quali le analogie e quali le differenze? La risposta è impossibile e la potremo leggere soltanto nei libri di storia, tra almeno un altro secolo. Possiamo però interpretare qualche dato e qualche informazione che abbiamo sotto gli occhi.

Quattro milioni di italiani all’estero

Sono circa 4 milioni di italiani residenti all’estero (nei primi anni venti erano 9.200.000). Sono circa 2.000.000 i giovani under-40 che hanno scelto di lasciare l’Italia. Secondo l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), dal 1997 al 2010 l’Italia ha perso 2.600 medici, 1.300 insegnanti di scuola secondaria, 650 ottici e altre figure professionali per un totale di circa 10mila persone, che hanno scelto come destinazioni finali soprattutto Gran Bretagna, Svizzera e Germania.

A questi numeri si è aggiunto recentemente un fenomeno che nella storia non ha precedenti in Italia. I nostri nonni abbandonavano il paese sotto la pressione demografica, oggi la nostra classe media, costituita da imprenditori e professionisti, lascia l’Italia sotto la pressione fiscale e normativa, oppressa da un sistema economico in ostaggio del clientelismo e della corruzione. Nell’edizione 2011 del Transparency International Index Corruption Perceptions, un indice mondiale sui livelli di corruzione, l’Italia è  al 69° posto, la stessa posizione del Ghana e molte posizione sotto, per esempio, al Rwanda (49° posto).

“È una Patria dove non si può vivere del proprio lavoro?”

La novità del fenomeno riguarda il fatto che, non solo il paese perde la presenza di cittadini intraprendenti, con competenze ed esperienze, ma perde anche i loro capitali finanziari. Il crescente numero di italiani in fuga dal proprio paese, rischia di rallentare il progresso economico, culturale e tecnologico dell’intera nazione, oltre a rendere sempre più difficile il ricambio della classe dirigente.

Così scriveva un emigrante ad un ministro italiano del 19° secolo: « Cosa intende per nazione, signor Ministro? Una massa di infelici? Piantiamo grano ma non mangiamo pane bianco. Coltiviamo la vite, ma non beviamo il vino. Alleviamo animali, ma non mangiamo carne. Ciò nonostante voi ci consigliate di non abbandonare la nostra Patria. Ma è una Patria la terra dove non si riesce a vivere del proprio lavoro? »

Ma siamo proprio sicuri che da quando fu scritta questa lettera sia trascorso più di un secolo e mezzo?

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