L’agricoltura biologica in Sri Lanka: un disastro da ricordare

I politici l’avevano definito un passo verso la rivoluzione verde. Ma il divieto di importare fertilizzanti chimici ha fatto precipitare il paese in una grave crisi alimentare.

Quello che sta succedendo in Sri Lanka è una lezione interessante un po’ per tutti i paesi del mondo. Le ripercussioni del divieto di importazione di fertilizzanti chimici, in combinazione con una scarsa pianificazione, hanno pesato drammaticamente sull’agricoltura del paese.

Adesso, lo Sri Lanka si trova ad affrontare una carenza di cibo derivante dalla ridotta produzione interna, visto che non ha la capacità finanziaria di importare forniture sostitutive.

La nuova rivoluzione verde

Tutto era cominciato a maggio 2021 quando il governo aveva deciso di vietare i fertilizzanti chimici, una decisione poi rimandata a novembre. L’idea era quella di prendere tre piccioni con una fava: tagliare i costi delle importazioni di fertilizzanti, evitare malattie agli agricoltori che si supponevano avessero a che vedere con l’uso di sostanze chimiche e garantire al paese la notorietà per i suoi prodotti da agricoltura biologica.

Nel 2020, le importazioni dallo Sri Lanka di fertilizzanti ammontavano a 259 milioni di dollari ma, nel 2021 e nel 2022, la stessa cifra avrebbe raggiunto i 300 o 400 milioni di dollari a causa dell’aumento dei prezzi.

Gli esperti avevano avvisato che la scelta era sconsiderata

Numerosi esperti in agricoltura avevano avvisato che vietare le importazioni di fertilizzanti era una scelta sconsiderata e che avrebbe portato ad un calo significativo dei raccolti. Tuttavia, l’idea di poter usare solo fertilizzanti organici, spinta a gran voce dai politici del paese, era diventata molto popolare tra gli agricoltori.

Per evitare il disastro in cui è precipitato, quanto meno, il paese avrebbe dovuto prima espandere la propria capacità di produzione di fertilizzanti organici, in modo da averne a sufficienza per soddisfare l’attuale consumo di fertilizzanti.

Ad ogni modo, il divieto è diventato legge e gli effetti negativi non si sono fatti attendere. Secondo la FAO (Food and Agriculture Organization delle Nazioni Unite), la produzione alimentare complessiva in Sri Lanka nell’ultima stagione è stata del 40%-50% inferiore rispetto allo scorso anno. La produzione di riso durante la principale stagione del raccolto (semina a settembre 2021 e raccolto a marzo 2022) è scesa di quasi il 40% a 1,93 milioni di tonnellate (dati dello Sri Lanka’s Department of Census and Statistics).

La seconda stagione del raccolto è adesso minacciata dalla carenza di sementi e fertilizzanti, nonché dalla mancanza di credito per i produttori alimentari. Quindi, lo Sri Lanka avrà bisogno di importare grano per soddisfare il suo fabbisogno interno, ma le sue finanze non sono in grado di permetterlo anche a causa dell’ulteriore deprezzamento della sua valuta locale.

Adesso la crisi alimentare, poi la crisi umanitaria

Come sanno bene gli esperti di agrobusiness, su piccola scala gli agricoltori sono in grado di piantare semi e coltivare alcuni ortaggi anche senza prodotti chimici per l’agricoltura. Ma su larga scala, come nel caso delle coltivazioni delle risaie nello Sri Lanka, il discorso si fa più complicato e la mancanza di fertilizzanti chimici (a cui si aggiunge quella di carburanti) provoca un crollo della produzione che, quando si tratta di sfamare una popolazione, diventa un dramma.

La pandemia e le restrizioni relative erano stati devastanti per l’economia dello Sri Lanka, fortemente dipendente dal turismo estero. Alla crisi economica e politica, adesso si aggiunge una crisi alimentare che porterà quasi certamente ad una crisi umanitaria.

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