Tungsteno con il conta-goccie dalla Cina

Le limitazioni cinesi all’esportazioni di tungsteno avrebbero l’obbiettivo di favorire le industrie nazionali rispetto ai concorrenti stranieri. Ma l’effetto immediato è una crescita dei prezzi.

Il tungsteno continua ad essere al centro dell’attenzione di molti investitori. Molti mass-media hanno riportato la notizia che Warren Buffett, il leggendario miliardario americano, non sta investendo in oro, ma con 35 milioni di dollari ha acquistato una società mineraria in Corea del Sud, impegnata nella produzione di tungsteno.

I fondamentali del tungsteno, un metallo indispensabile nella costruzione di utensili per il taglio, per esempio dell’acciaio, sono davvero impressionanti. Il tungsteno è il metallo più duro del pianeta, 100 volte più resistente dell’acciaio, e senza alcun sostituto per tutte le attrezzature da taglio nelle macchine utensili.

Il prezzo era di 50 dollari/mtu nel 2000, mentre oggi vale all’incirca 400 dollari/mtu (*), in aumento di otto volte. Per anni la Cina ha fornito fino all’80% del consumo globale mondiale, ma da qualche anno ha cominciato a cambiare politica: restrizioni alle esportazioni e permessi minerari concessi con il contagocce per proteggere il proprio mercato interno.

Anziché venderlo agli stranieri, preferiscono utilizzarlo per loro stessi e vendere poi la macchina utensile sul mercato estero

Secondo Christopher Ecclestone,  analista minerario di Hallgarten & Company, la nuova politica cinese di limitare le esportazioni di tungsteno, non ha come obiettivo l’aumento dei prezzi, anche sta ottenendo questo effetto. I cinesi vogliono far crescere l’industria interna che produce macchine utensili, per la quale necessitano di tungsteno. Giocoforza che anziché venderlo agli stranieri, preferiscono utilizzarlo per loro stessi e vendere poi la macchina utensile sul mercato estero, con un valore aggiunto maggiore rispetto alla vendita della materia prima.

Inoltre, la Cina sta cercando di mettere ordine all’interno del proprio mercato, non concedendo licenze, o addirittura revocandole, alle piccole miniere e quindi favorendo la creazione di aziende di maggiori dimensioni. Per il governo è più facile controllare poche aziende, piuttosto che un numero come quello attuale, stimato in più di 300 società di dimensioni molto diverse l’una dall’altra. È ragionevole pensare che il mercato cinese del tungsteno sarà un gioco a somma zero: tutto il tungsteno prodotto sarà assorbito dal mercato nazionale. Per il resto del mondo si pone il problema su come approvvigionarsi di tungsteno, senza le forniture provenienti dalla Cina.

Probabilmente, le più importanti aziende impegnate nella produzione di macchine utensili, per le quali la fornitura di tungsteno è indispensabile, saranno invogliate a finanziare le compagnie minerarie minori, affinchè si impegnino a produrre tungsteno in nuove zone del mondo e per assicurarsene la fornitura continuativa.

Il mercato delle applicazioni del tungsteno è molto ampio e comprende molte attrezzature per la perforazione petrolifera e mineraria. Se in momenti di crisi globale come quelli che il mondo sta attraversando, i prezzi del metallo rimangono forti, cosa succederà se la congiuntura economica dovesse cambiare? Probabilmente la risposta a questa domanda, Warren Buffett la conosce da tempo.

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(*) mtu = tonnellata metrica di minerale, contenente l’1% di metallo. L’unità di misura corrisponde a 10 kg di metallo. Nel caso riportato 400 dollari/mtu corrispondono a 40 dollari/kg.