Dire che la Cina è il principale attore del mercato delle terre rare (REE) è ormai un eufemismo.
Anche se il paese ha di recente perso il ricorso contro la condanna del WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio) a causa delle sue restrizioni alle esportazioni di REE, detiene ancora saldamente in mano il mercato delle terre rare.
Per questo predominio incontrastato, quando qualche altro paese riesce a conquistare una piccola fetta di questo mercato, solleva un grande interesse da parte di tutti.
È il caso dell’India che, secondo Reuters, ha commissionato un impianto che produrrà 5.000 tonnellate all’anno di questi metalli. Anche se non si conoscono i tempi per la realizzazione, si sa che l’impianto sorgerà in Odisha e produrrà ossidi di terre rare dalla lavorazione della monazite, ricavata dalla sabbia della spiaggia.
Quando l’impianto sarà in funzione, l’India contribuirà a circa il 5% dell’offerta globale.
Il Giappone, come tutto il resto del mondo, si basa molto sulle terre rare cinesi. Infatti, per l’industria giapponese sono materiali indispensabili per la produzione dei componenti elettronici e dei sistemi informatici che costituiscono una parte sostanziale delle esportazioni del paese.
Non sorprende quindi che una controllata della giapponese Toyota Tsusho abbia già stipulato un accordo per comprare la metà di tutta la produzione prevista dell’impianto indiano di Odisha.
Gli investitori in terre rare guardano con moltissimo interesse alle vicende dell’impianto indiano e della partnership con il Giappone, soprattutto dopo che la Cina ha perso il ricorso contro la condanna del WTO (“Il WTO condanna la Cina per le terre rare“).
Una piccola crepa nella totale dipendenza del Giappone dalla Cina, che molti sperano possa essere soltanto l’inizio della fine per il monopolio cinese sul mercato delle terre rare.