Una delle più importanti aziende di combustibili e tecnologia per centrali nucleari si trova in Russia e si chiama Rosatom Corp. L’azienda e le sue filiali rappresentano circa il 35% dell’arricchimento globale dell’uranio, con accordi di fornitura di combustibile nucleare nei paesi di tutta Europa.
Rosatom, un obbiettivo delicato
Questa azienda rischia di essere colpita dalle sanzioni occidentali per il conflitto in Ucraina, con conseguenze imprevedibili. Sembra infatti che l’amministrazione Biden stia valutando di sanzionare la Rosatom, nonostante si tratti di un obbiettivo assai delicato. Tra le altre cose, l’azienda russa è attualmente impegnata con l’Iran per fare rispettare gli accordi di limitazione del programma nucleare nel paese.
Al momento non è chiaro cosa significherebbero le sanzioni per le centrali nucleari americane ed europee. I reattori, in genere, devono fare rifornimento ogni 18-24 mesi ed acquistano carburante con anni di anticipo, oltre a mantenere scorte significative.
Intanto i prezzi volano
Anche se nessuna decisione finale è stata presa, i fondi d’investimento e i titoli azionari delle aziende impegnate nel settore hanno cominciato a volare. Per esempio, l’ETF Global Uranium X è salito del 3,7% non appena è trapelata la notizia delle intenzioni della Casa Bianca, così come la Cameco Corporation cresciuta del 5,5% e la Denison Mines Corp. del 4,4%.
Secondo un analista intervistato da Bloomberg, non è consigliabile rinunciare all’uranio e all’arricchimento russi, anche perché è il più economico sul mercato. Inoltre, gli esperti avvertono che qualsiasi divieto potrebbe aumentare il prezzo dell’uranio e avere un grande effetto sulle aziende che operano nel settore nucleare.
Se le sanzioni occidentali dovessero colpire l’uranio russo, non ci dovrebbero essere impatti operativi immediati come sta invece succedendo per metalli industriali quali l’acciaio, l’alluminio, il rame o il titanio. Infatti, probabilmente per circa due anni, gli impianti nucleari hanno carburante sufficiente per operare.
Tuttavia, gli effetti sui prezzi potrebbero produrre un aumento dei costi energetici anche per le fonti nucleari.
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