Oro fisico e oro finanziario, un divario destinato a crescere

Nonostante la crescita della richiesta di oro fisico, in monete e in lingotti, i prezzi non ne risentono positivamente e si muovono verso il basso. Ecco perchè…

L’inadempienza della Grecia, che ha costretto tutto il sistema bancario e finanziario interno ad una vacanza prolungata, ha spinto, come prevedibile, molti cittadini greci a comprare monete d’oro e d’argento.

Un fenomeno, quello dell’acquisto di metalli preziosi fisici nel corso dell’ultimo anno, che ha riguardato molti investitori in diversi paesi.

Ma, nonostante questa corsa all’acquisto di metallo fisico, i prezzi dell’oro e dell’argento sono rimasti stabili o addirittura sono scesi. Come è possibile? Esiste una disconnessione sempre maggiore tra i mercati a termine e i mercati fisici?

Il legame tra il prezzo e la domanda fisica di metalli preziosi si sta sempre più assottigliando.

Il numero di contratti scambiati in un solo giorno promette quantità maggiori di tutta la produzione mineraria mondiale di un anno

Le borse dei metalli dovrebbero essere un luogo di incontro tra compratori e venditori razionali che, valutando i fondamentali, dovrebbero prendere decisioni su ciò che è un prezzo equo. Ma, in realtà, le borse sono dominate da grandi banche e broker che, utilizzando sofisticati software di trading e strumenti derivati, fabbricano un prezzo.

Questi potenti attori del mercato non sono commercianti di metallo fisico e non si preoccupano dei fondamentali, come invece fa chi acquista oro o argento fisicamente. Essi comprano e vendono contratti di carta, nei quali è indicato che il metallo fisico dovrà essere consegnato in futuro.

Un mercato, quello dei contratti cartacei a termine (futures), dove il numero di contratti scambiati in un solo giorno promette quantità maggiori di tutta la produzione mineraria mondiale di un anno. Ovviamente, se tutti i titolari dei contratti ne richiedessero la consegna fisica, sarebbe impossibile adempiere agli impegni.

Questo fenomeno si è acutizzato con l’invenzione di Wall Street del trading ad alta frequenza, algoritmi che generano un enorme volume di scambi giornalieri.

Gli strumenti derivati, le opzioni soprattutto, sono per definizione staccati dal mercato fisico dal momento che rappresentano una leva finanziaria esponenziale. Ovviamente, le opzioni influenzano significativamente il prezzo spot del metallo sottostante. Per chi è pratico di questi strumenti, un grosso acquisto di opzioni call ad uno strike price più elevato tende a guidare verso l’alto i prezzi a pronti, mentre la vendita allo scoperto o l’acquisto di opzioni put trascineranno i prezzi spot verso il basso.

Citigroup, JPMorgan Chase e gli altri principali operatori nei mercati dei futures, stanno scommettendo in questo modo sul mercato dei metalli preziosi, ma nessuno conosce se stanno scommettendo su prezzi più alti o più bassi.

Qualcuno pensa che Citigroup, per esempio, non stia scommettendo né su prezzi più alti né su prezzi più bassi, ma semplicemente su prezzi all’interno di un intervallo. La strategia sarebbe di quella di creare enormi posizioni lunghe (acquisti) e corte (vendite) in modo da annulare l’influenza che potrebbero avere tutti gli altri trader in un senso o nell’altro. Una simile strategia implicherebbe che Citigroup abbia speso fino ad ora una fortuna per opzioni put e call.

Tuttavia, al di là delle voci di mercato, una cosa è certa. Citigroup non ha proprio nulla in comune con chi vuole comprare monete d’oro perchè preoccupato per possibili svalutazioni monetarie o per la bancarotta del sistema bancario. I greci, per esempio, hanno convertito i contanti in oro per paura di confische dei loro risparmi da parte del governo che li potrebbe restituire sotto forma di dracme.

Perciò nel breve e medio termine, non c’è da aspettarsi che la crescita della domanda di oro e argento fisico riesca ad influenzare i prezzi di un mercato che è dominato dalle scommesse delle grandi istituzioni finanziarie, che non sembra abbiano puntato sul rialzo dei metalli preziosi.

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