Incastonata tra le montagne del bresciano, Lumezzane non sembra, a prima vista, il luogo dove ti aspetteresti di trovare una delle culle dell’industria siderurgica italiana. Eppure, in questa valle stretta e apparentemente sperduta, è nato un tessuto imprenditoriale straordinario, capace di trasformare un’economia contadina in uno dei motori della metallurgia nazionale. Un fenomeno industriale che, per portata e dinamismo, ha spinto molti a ribattezzare Lumezzane la “Silicon Valley del tondino”.
Come è nata la siderurgia lumezzanese
La siderurgia ha attecchito in Val Trompia e in Val Gobbia per una combinazione quasi irripetibile di fattori geografici e culturali. Ricca di acqua, boschi e soprattutto minerali ferrosi, la zona offriva già in epoca medievale le condizioni ideali per alimentare le prime forge. La presenza di minerali ferrosi nella zona di Lumezzane è strettamente legata alla storia mineraria della Val Trompia, in particolare, la miniera Sant’Aloisio a Collio, è stata uno dei più ricchi giacimenti di siderite (minerale di ferro) della regione. I minerali estratti da questa e altre miniere venivano lavorati in forni fusori e poi trasformati in barre di ferro, che raggiungevano i centri di produzione della media valle, inclusa Lumezzane, dove si sviluppò un’importante attività siderurgica .
Questa disponibilità di minerale ferroso, unita all’abbondanza di acqua e legname, ha fornito le condizioni ideali per lo sviluppo della siderurgia nella regione. Lumezzane ha saputo sfruttare queste risorse naturali, trasformandosi da un’economia agricola in un centro industriale specializzato nella lavorazione dei metalli.
Ma è nel secondo dopoguerra, con l’accelerazione del miracolo economico italiano, che Lumezzane esplode come epicentro di un’industria capace di lavorare e trasformare l’acciaio in mille forme e prodotti: dai tondini alle valvole, dai rubinetti ai raccordi industriali.
Il carattere che forgia l’acciaio
A fare la differenza, però, non sono solo le risorse naturali. Sono le persone. Il lumezzanese è noto per la sua riservatezza, ma anche per una tenacia incrollabile e una dedizione al lavoro che ha pochi eguali. Le giornate nelle officine iniziavano all’alba e finivano ben dopo il tramonto. Non era raro vedere intere famiglie coinvolte nelle piccole imprese artigianali che, di generazione in generazione, crescevano e si strutturavano.
Una delle caratteristiche più affascinanti del modello lumezzanese è stata la fluidità dei ruoli. Qui, molti operai hanno saputo cogliere l’occasione per diventare imprenditori. Con pochi mezzi, ma con idee chiare e tanto lavoro, hanno aperto le prime officine, spesso nel garage di casa o nei cortili. Si trattava di realtà piccole, ma iper-specializzate, capaci di innovare con velocità e precisione, anticipando i bisogni del mercato.
È da questo humus che nascono storie straordinarie. Come quella della famiglia Lucchini, che da una piccola realtà siderurgica ha costruito uno dei colossi nazionali del settore. E come loro, i Beretta, i Gnutti, i Redaelli, hanno impresso la loro firma sull’industria pesante italiana. Alcune di queste aziende sono diventate aziende che oggi competono su scala globale, altre si sono distinte per innovazione tecnologica, altre ancora per capacità di resistere alla concorrenza internazionale.
Oggi: cosa resta di tanta gloria?
Con la globalizzazione, la crisi dell’industria pesante e la delocalizzazione, anche Lumezzane ha dovuto fare i conti con un’epoca di profondi cambiamenti. Molti stabilimenti storici hanno chiuso o sono stati assorbiti da gruppi stranieri. Altri hanno riconvertito la produzione verso settori più di nicchia, puntando sulla qualità e sulla precisione. Il mito della “Silicon Valley del tondino” non è del tutto tramontato: esistono ancora eccellenze siderurgiche, ma più silenziose, meno appariscenti, figlie di un nuovo pragmatismo.
Quel che resta, al di là delle cifre e dei capannoni, è lo spirito. A Lumezzane si lavora ancora con serietà, ci si rimbocca le maniche e si cerca di costruire, pezzo dopo pezzo, il futuro. Forse non ci sono più le glorie epiche di un tempo, ma la memoria di quel passato vive nella cultura del fare, nell’identità operaia che qui, più che altrove, è diventata anche identità imprenditoriale.
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