Dagli smartphone e dai veicoli elettrici ai raggi X e ai missili guidati, diverse tecnologie moderne non sarebbero ciò che sono senza terre rare. Un iPhone, per esempio, contiene otto diversi metalli delle terre rare.
I depositi di terre rare sono sparsi un po’ in tutto il mondo, ma la maggior parte delle attività estrattive e di raffinazione avviene in Cina, che domina la catena di approvvigionamento globale. Secondo la CSIS China Power Project, circa l’ 88% delle esportazioni di terre rare della Cina, nel 2019, è andato a soli 5 paesi, che sono tra le principali potenze tecnologiche ed economiche del mondo:
- Giappone 36,0%
- Stati Uniti 33,4%
- Olanda 9,6%
- Corea del Sud 5,4%
- Italia 3,5%
- resto del mondo 12,1%
Nel caso dell’Italia, le esportazioni cinesi riguardano cerio (455 tonnellate), lantanio (368 tonnellate), neodimio (15 tonnellate), ittrio (419 tonnellate) e altri elementi (350 tonnellate). Si tratta di quantitativi marginali rispetto ai due paesi leader, Giappone e Stati Uniti, che da soli rappresentano più di due terzi delle esportazioni cinesi di terre rare.
Un predominio sempre più importante
Mentre il mondo sta cercando di assicurarsi un futuro più verde, la domanda di terre rare dovrebbe quasi raddoppiare entro il 2030 e la catena di approvvigionamento diventerà ancora più cruciale e strategica. Naturalmente, il monopolio della Cina su questi metalli le dà un grosso vantaggio sui paesi fortemente dipendenti come gli Stati Uniti, ma anche come l’Italia. Inoltre, dal punto di vista di chi importa, dipendere così tanto da un solo paese rende la catena di approvvigionamento tutt’altro che affidabile.
Nel 2010, per esempio, la Cina aveva ridotto le sue quote di esportazione di terre rare del 37%. Le conseguenze furono un aumento vertiginoso dei prezzi in tutto il mondo. Lo spavento provocò un afflusso di capitali nel settore minerario delle terre rare, con la nascita di oltre 200 progetti di esplorazione al di fuori della Cina. Purtroppo, si è trattato di un boom di breve durata e che ha prodotto l’avvio di troppo pochi siti produttivi in altre parti del mondo.
Globalizzati economicamente ma divisi politicamente
Il predominio della Cina nel settore delle terre rare è il risultato di anni di politiche industriali che risalgono agli anni ’80. Soltanto da pochi anni, Europa, Stati Uniti e Giappone hanno reso prioritario diversificare le loro fonti di terre rare per ridurre la dipendenza dalla Cina.
L’aumento dell’estrazione di terre rare al di fuori della Cina ha ridotto la quota globale di estrazione mineraria della Cina, dal 97,7% nel 2010 al 62,9% nel 2019. Tuttavia, l’estrazione mineraria è solo un pezzo del mercato.
L’altro pezzo importante è la raffinazione, l’80% della quale avviene ancora in Cina. Pertanto, anche le terre rare estratte all’estero vengono inviate in Cina per la raffinazione. Raffinare è un processo con un pesante impatto ambientale e i paesi occidentali hanno preferito scaricare questo onere lontano dagli occhi dei propri cittadini.
Ma, anche per alimentare le tecnologie verdi, serve qualcuno che faccia il lavoro sporco. Esternalizzarlo fuori dai propri confini per non vederlo è una pessima strategia nel lungo termine. La Cina si è presa l’onere del lavoro sporco, ma ha ottenuto il quasi totale controllo delle forniture di elementi indispensabili per far funzionare la nostra società sempre più tecnologica e sempre più verde.
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