Il futuro del mercato dell’uranio e del nucleare

Importanti investitori del settore energetico, cominciano a credere che l’uranio potrebbe diventare un investimento assai remunerativo.

A causa del recente disastro di Fukushima nel 2011, l’energia ricavata dal nucleare è vista come un settore morente e con poche prospettive future.

Ma alcuni importanti investitori ritengono che l’uranio sia un investimento cosiddetto contrarian, cioè in controtendenza rispetto al sentimento della massa degli investitori comuni. Questi investitori sono grosse banche di investimento che cercano di prevedere le opportunità che l’uranio può offrire prossimi anni.

I progetti di nuove miniere per estrarre uranio stanno procedendo al rallentatore e sta diventando sempre più difficile attrarre capitali nuovi per imprese del genere.

Ma la situazione del nucleare nel mondo non è per niente al tramonto. Per esempio, negli Stati Uniti, che hanno in funzione 104 reattori nucleari, un’abitazione ogni 5 è alimentata grazie all’energia nucleare. E i programmi energetici nazionali prevedono un raddoppio dei reattori esistenti, come pure in Cina che sta investendo nel settore l’equivalente di oltre 400 miliardi di dollari. Anche l’Arabia Saudita, uno dei principali produttori di petrolio al mondo, sta costruendo 16 nuovi reattori nucleari.

Alla fine dell’anno in corso, terminerà il cosiddetto accordo HEU (Highly Enriched Uranium Agreement), grazie al quale la Russia forniva il metallo all’industria nucleare mondiale, smantellando le vecchie testate nucleari risalenti all’epoca dell’Unione Sovietica, rimuovendo l’uranio altamente arricchito (HEU) e miscelandolo con materiale a bassi livelli di U-235,  per la produzione di uranio commerciale a basso arricchimento (LEU) per l’utilizzo nelle centrali nucleari. Il termine di questo accordo, scatenerà una competizione per assicurarsi contratti di forniture a lungo termine.

Attualmente, le quotazioni dell’uranio sono di circa 40 dollari per libbra, un livello molto basso raggiunto in seguito all’incidente di Fukushima, quando la chiusura di molti impianti hanno scatenato i venditori, che hanno inondato il mercato che non era in grado di assorbire tutto il metallo disponibile.

Attualmente gli Stati Uniti producono soltanto 2 milioni di tonnellate all’anno, contro i 16 milioni di tonnellate che producevano nel 1960. Ma rimangono il più grande consumatore di uranio nel mondo e per far fronte alle proprie necessità energetiche, importano più del 95% dell’uranio che consumano. Una situazione molto rischiosa per il paese, che potrebbe trovarsi senza energia quando, per esempio, la Russia dovesse decidere di staccare la spina delle forniture di uranio.

Per questi motivi,  l’uranio è considerato l’investimento più in controtendenza che esista sul mercato delle materie prime.

Naturalmente, per gli investitori comuni non è possibile ne acquistare fisicamente un metallo come l’uranio, ne partecipare ai progetti di esplorazione per la scoperta di nuovi giacimenti. L’unica possibilità è di acquistare azioni di società minerarie del settore, quotate nelle principali borse mondiali.

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