Settant’anni fa, era il 1° marzo 1954, un lampo accecante più luminoso del sole illuminò il cielo sopra l’atollo di Bikini (Pacifico meridionale) e una mostruosa palla di fuoco luminosa si sollevò sulla laguna, espandendosi fino a raggiungere un diametro di oltre sette chilometri. Nel giro di un minuto, la palla di fuoco si era trasformata in un’enorme nube a fungo, che si estendeva per undici chilometri nella stratosfera.
Era il primo test della storia di una bomba all’idrogeno e l’inizio di una nuova terrificante era. Le bombe ad idrogeno (bombe H) sono migliaia di volte più potenti delle bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki e possono annientare intere città e forse persino porre fine a ogni forma di vita sulla Terra.
Cosa sono le armi termonucleari?
Ma cos’è una bomba all’idrogeno? Come è stata sviluppata e cosa la rende così apocalitticamente distruttiva?
Mentre le armi nucleari ordinarie si basano sul processo di fissione, ovvero la scissione di atomi pesanti di uranio o plutonio, le bombe all’idrogeno, più correttamente note come armi termonucleari, sfruttano il processo di fusione, ovvero la combinazione di atomi di idrogeno più leggeri per formare atomi di elio più pesanti. Poiché gli atomi di idrogeno normalmente si respingono a causa delle forze elettrostatiche, la fusione richiede temperature e pressioni estremamente elevate per avvicinare gli atomi abbastanza da consentire alla forza nucleare forte attrattiva di superare questa repulsione e legare insieme i nuclei atomici. Tali condizioni si trovano nei nuclei delle stelle, ed è proprio la fusione dell’idrogeno che continua a emettere la loro energia estrema.
Il processo di nucleosintesi stellare fu elaborato per la prima volta nel 1937 dal fisico tedesco Hans Bethe, che in seguito avrebbe svolto un ruolo chiave nel Progetto Manhattan, lo sforzo bellico per sviluppare la prima bomba atomica. Tuttavia, fu uno dei colleghi di Bethe, il fisico italiano Enrico Fermi, a proporre per primo nel settembre 1941 che una reazione di fissione nucleare potesse essere utilizzata per innescare la fusione nucleare e rilasciare quantità di energia ancora maggiori.
Una potenza teoricamente illimitata
Questa reazione, tuttavia, sarebbe stata diversa dalla fusione dell’idrogeno leggero presente nelle stelle, che è decisamente troppo lenta e richiede troppa energia per creare un’arma efficace. Invece, Fermi propose di utilizzare gli isotopi di idrogeno pesante Deuterio e Trizio, che richiedono meno energia per fondersi. La reazione di fusione più semplice da avviare prevede la combinazione di un atomo di Deuterio e un atomo di Trizio per produrre un atomo di Elio-4, un neutrone libero e 17,6 Mega-elettron-volt di energia. La reazione successiva più semplice combina due atomi di Deuterio per produrre un atomo di Elio-3, un neutrone e 3,268 Mega-elettron-volt di energia.
Anche se le normali armi a fissione sono straordinariamente potenti, c’è un limite massimo alla loro resa esplosiva (circa 700 kilotoni). Ma un’arma a fusione, che produce molta più energia per unità di massa di combustibile e genera un gran numero di neutroni che possono essere diretti nel nucleo dell’arma di innesco per potenziare il processo di fissione e rilasciare ancora più energia, ha una resa teorica praticamente illimitata.
La bomba a fusione nucleare
L’idea di usare la fusione per creare armi di potenza quasi illimitata catturò immediatamente l’immaginazione del collega di Fermi, il fisico ungherese Edward Teller, che soprannominò la teorica bomba a fusione come “Super“.
I problemi teorici e pratici nel concepire una simile arma risultarono tuttavia più ardui del previsto, mentre molti cominciavano a pensare che sarebbe stata un’impresa impossibile. Dopo anni di calcoli infruttuosi e vicoli ciechi senza fine, nel 1951 Teller chiese consiglio al matematico polacco Stanislaw Ulam, che ebbe un’intuizione fondamentale. Nel giro di pochi mesi, la coppia presentò la sua soluzione rivoluzionaria al problema della Super in un articolo intitolato “On Heterocatalytic Detonations I. Hydrodynamic Lenses and Radiation Mirrors“. La svolta di Teller e Ulam fu il principio dell’implosione delle radiazioni, in cui i raggi X, anziché calore o onde d’urto, vengono utilizzati per comprimere e accendere il combustibile di fusione.
Un test nucleare fuori controllo
E fu così che cominciarono i test sulla bomba termonucleare, il più drammatico dei quali fu proprio quello che abbiamo accennato, sopra l’atollo di Bikini. La bomba, soprannominata Castle Bravo, fu fatta esplodere alle 6:45 del mattino del 1° marzo 1954 e, fin dall’inizio, fu chiaro che qualcosa stava andando terribilmente storto. Il lampo della detonazione era insolitamente luminoso persino per gli standard di un’arma nucleare, così luminoso che gli osservatori hanno riferito di aver visto le ombre delle ossa nelle loro mani. E così potente era l’impulso termico che i marinai sulle navi ancorate a 20 chilometri di distanza avevano la sensazione di essere stati colpiti da una fiamma ossidrica.
Nel frattempo, la palla di fuoco principale continuava a crescere, e a crescere… e a crescere, finché non sembrò inghiottire l’intera laguna. Edifici e strumenti destinati a sopravvivere all’esplosione furono inceneriti e intere isole furono spazzate via. Mentre la palla di fuoco continuava a espandersi fino a raggiungere un mostruoso diametro di 7 chilometri, un marinaio descrisse che: “Ci siamo presto ritrovati sotto una grande nuvola nera e arancione che sembrava far cadere palle di fuoco rosso vivo su tutto l’oceano intorno a noi. Penso che molti di noi si aspettassero di assistere alla fine del mondo“.
Poi arrivò l’onda d’urto, che fu così potente che quasi fece cadere dal cielo un aereo da osservazione che stava volteggiando. Sull’isola di Enyu, a 30 chilometri di distanza da Ground Zero, un bunker in cemento armato tremò così violentemente che i suoi occupanti temettero di essere spazzati via. Quando il rumore e lo shock si placarono, gli osservatori si trovarono di fronte alla vista impressionante di una nube bianca a forma di fungo di 100 chilometri di diametro e che torreggiava per 40 chilometri nel cielo.
Un’esplosione da 15 megatoni, 1000 volte più di Hiroshima
La resa di Castle Bravo è stata misurata a un sorprendente 15 megatoni, il triplo di quanto previsto dagli scienziati e 1000 volte più potente della bomba sganciata su Hiroshima. Questo inaspettato aumento della resa è stato il risultato di un errore di fisica fondamentale. Gli scienziati avevano ipotizzato che l’isotopo di litio-7 che costituiva la maggior parte del combustibile di fusione avrebbe semplicemente assorbito i neutroni per formare litio-8 e non avrebbe avuto alcun ruolo nella reazione di fusione. In realtà, tuttavia, quando bombardato dai neutroni ad alta energia del primario, il litio-7 si è fissionato in una particella alfa, un neutrone e un nucleo di trizio, generando significativamente più combustibile di fusione e triplicando la resa esplosiva.
Ma le conseguenze di questo errore di calcolo andarono ben oltre la distruzione di edifici e strumenti. L’esplosione scavò un cratere largo 2 chilometri nel fondale della laguna, la cui roccia, corallo e acqua vennero polverizzati, aspirati nella palla di fuoco e irradiati. Questo materiale poi piovve sulla terra sotto forma di grandi quantità di ricadute altamente radioattive. Ancora peggio, il vento cambiò improvvisamente direzione, così che anziché soffiare in sicurezza verso nord sull’oceano aperto, le ricadute vennero trasportate verso est, creando una colonna radioattiva lunga 450 chilometri che travolse la flotta di supporto e gli atolli abitati di Rongelap, Ailinginae, Utirik e Rongerik.
Abitanti dell’isola usati come cavie
Ignari del pericolo, i bambini nativi delle isole Marshall giocarono e persino leccarono la polvere radioattiva, causando centinaia di casi di malattia da radiazioni e altri effetti sulla salute. Anche la Daigo Fukuru Maru, una barca da pesca giapponese che avrebbe dovuto trovarsi al di fuori della zona di di sicurezza ufficiale, fu coinvolta dal fallout radioattivo. Coperto da una sottile polvere radioattiva, l’equipaggio della nave subì gravi ustioni e malattie da radiazioni e l’operatore radio morì in seguito per le ferite.
Entro 48 ore dal test di Castle Bravo, l’esercito statunitense evacuò gli abitanti di Rongelap, Rongerik, Ailinginea e Utirik nell’atollo di Kwajalein. Tuttavia, questo si rivelò troppo poco e troppo tardi per molti Marshallesi, in particolare gli abitanti di Rongelap, che ricevettero alte dosi di radiazioni e iniziarono a soffrire di alti tassi di cancro alla tiroide e alla cervice, malformazioni congenite e altri problemi di salute cronici. Cinicamente, la Commissione per l’Energia Atomica degli Stati Uniti scrisse che “l’insediamento di queste persone sull’isola fornirà dati ecologici molto preziosi sulle radiazioni degli esseri umani“. Gli abitanti di Rongelap erano stati deliberatamente usati come cavie radiologiche.
9 paesi con la bomba atomica
Le ricadute di Castle Bravo si diffusero in tutto il mondo, venendo rilevate in luoghi lontani come Australia, Europa e Stati Uniti. Nonostante l’indignazione internazionale il governo degli Stati Uniti, in Guerra Fredda con l‘Unione Sovietica, proseguì nel progetto della bomba all’idrogeno fino alla realizzazione di altri ordigni nucleare di potenza inaudita.
Attualmente, ci sono 9 nazioni dotate di armi nucleari: gli Stati Uniti, la Federazione Russa, il Regno Unito, la Francia, la Repubblica Popolare Cinese, l’India, il Pakistan, la Repubblica Popolare Democratica di Corea e Israele. Tra loro, detengono circa 19.000 testate nucleari, la maggior parte delle quali sono armi termonucleari o a fissione potenziata, con una resa combinata di circa 4 gigatonnellate di TNT, sufficienti per distruggere il mondo più volte.
L’umanità è riuscita nell’impresa di accaparrarsi il potere di autodistruggersi. Adesso, la vera e drammatica domanda non è se utilizzerà tale potere, ma quando…
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