Posti di lavoro in fumo e manifattura in crisi. La Germania verso il declino industriale

Gli elettori tedeschi si preparano ad andare alle urne, mentre i partiti politici cercano soluzioni a quello che sembra un inarrestabile declino della manifattura del paese.

Secondo il Financial Times, la Germania ha perso quasi un quarto di milione di posti di lavoro nel settore manifatturiero dall’inizio della pandemia di Covid-19. Questo fenomeno sta alimentando un allarme crescente tra aziende e politici, preoccupati che il cuore industriale d’Europa stia affrontando un declino irreversibile.

Alla vigilia delle elezioni politiche, i dati evidenziano le difficoltà della più grande economia europea, alle prese con costi energetici elevati, un calo della domanda dei consumatori e una concorrenza sempre più forte dalla Cina.

Deindustrializzazione e capitali in fuga

Il leader della CDU, Friedrich Merz, ha avvertito che la Germania rischia la deindustrializzazione, con molte aziende che trasferiscono le proprie attività e capitali all’estero. Una volta persi, questi investimenti produttivi difficilmente torneranno.

Nonostante la perdita di posti di lavoro nell’industria, il numero totale di occupati in Germania è cresciuto del 4,8% dal 2020 a novembre 2023, grazie all’espansione dei settori dei servizi, come il settore immobiliare, la sanità e l’amministrazione pubblica.

Tra i settori più colpiti dalla crisi si distingue quello dell’automotive. Nel solo 2023, i fornitori del settore automobilistico hanno perso circa 11.000 posti di lavoro. La Gesamtmetall, lobby dell’industria metallurgica ed elettrica, prevede ulteriori tagli che potrebbero portare alla scomparsa di 300.000 posti nei prossimi cinque anni, pari a una riduzione del 7%.

Le difficoltà dell’industria tedesca si riflettono anche sul mercato azionario: Volkswagen, Thyssenkrupp e BASF hanno perso complessivamente 50 miliardi di euro in capitalizzazione negli ultimi cinque anni.

Costi energetici insostenibili

Uno dei principali ostacoli per l’industria tedesca è il costo dell’energia, significativamente più alto rispetto a Stati Uniti e Cina. Già prima della guerra in Ucraina, le imprese tedesche lamentavano il peso delle spese energetiche, aggravate dalla riduzione delle forniture di gas da parte di Gazprom.

Oggi, le aziende tedesche continuano a pagare più degli altri competitor per elettricità, gas naturale e idrogeno. L’industria chimica, con BASF in prima linea, ha dovuto ridurre la produzione del 20% rispetto ai livelli prebellici. Inoltre, l’IG BCE, sindacato dell’industria chimica ed energetica, ha segnalato oltre 200 casi di chiusura o riduzione della capacità produttiva, mettendo a rischio 25.000 posti di lavoro.

Secondo lo studio dello studio legale Weil, Gotshal & Manges, il livello di stress finanziario delle aziende tedesche potrebbe raddoppiare nei prossimi 12 mesi, raggiungendo livelli visti solo durante la pandemia.

A differenza della Germania, altri grandi paesi europei come Francia, Spagna e Italia sembrano essere meno esposti a una crisi di questa portata.

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