La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina ha raggiunto una fase particolarmente delicata la scorsa settimana, con Pechino che ha deciso di imporre nuovi controlli all’esportazione di un gruppo di terre rare strategiche. La mossa ha immediatamente destato preoccupazione a Washington e in tutte le filiere produttive globali che dipendono dai minerali cinesi.
Il Ministero del Commercio cinese ha annunciato venerdì che limiterà le spedizioni di 7 terre rare, materiali fondamentali per applicazioni che spaziano dai sistemi di guida missilistica ai veicoli elettrici. Le restrizioni, entrate in vigore immediatamente, sono una risposta diretta all’ultimo aumento dei dazi doganali imposto dal presidente statunitense Donald Trump sulle importazioni cinesi.
La strategia cinese
Le nuove restrizioni riguardano disprosio, terbio, samario, gadolinio, lutezio, scandio e ittrio. Gli esportatori cinesi dovranno ora ottenere una licenza governativa per spedire questi elementi all’estero, una misura che restringe sensibilmente i flussi globali senza arrivare a un divieto totale.
La Cina domina incontrastata il mercato globale delle terre rare, processando circa il 90% della produzione mondiale raffinata. Tra il 2019 e il 2022, secondo i dati dello U.S. Geological Survey (USGS), circa il 75% delle importazioni americane di terre rare proveniva direttamente dalla Cina.
Secondo Ryan Castilloux, fondatore della società di consulenza Adamas Intelligence, la Cina ha simbolicamente caricato le armi ma nessuno conosce quando premerà il grilletto. Se dovesse limitare l’accesso ai magneti ad alte prestazioni potrebbe paralizzare i settori della difesa e della tecnologia verde in tutto l’Occidente.
Terre rare: il tallone d’Achille dell’Occidente noto da tempo
Nel pieno dell’escalation della guerra commerciale, le terre rare sono un punto nevralgico. Questi elementi sono essenziali per tecnologie avanzate, dagli aerei da combattimento F-35 alle turbine eoliche, fino ai motori delle auto elettriche.
Secondo gli analisti di Project Blue, non esistono fornitori importanti alternativi ai cinesi. Esiste solo una fonte di terre rare in Myanmar, ma la sua produzione viene comunque inviata in Cina per la raffinazione.
Questo collo di bottiglia espone l’Occidente ad una vulnerabilità critica. Anche paesi come il Brasile, sede della miniera di Serra Verde, dipendono dalla Cina per le complesse fasi di raffinazione, spesso soggette a normative ambientali severe.
Gli Stati Uniti sono da tempo consapevoli della propria dipendenza dalle terre rare cinesi. Il Dipartimento della Difesa ha investito per sviluppare capacità di estrazione e raffinazione interne, ma i progressi sono lenti. Normative ambientali rigide, iter autorizzativi complessi e costi elevati ostacolano i tentativi di rilocalizzazione industriale.
Nel frattempo, Pechino continua a rafforzare la propria posizione. Le nuove misure seguono altri divieti sulle esportazioni di metalli come gallio e germanio, fondamentali per semiconduttori e telecomunicazioni. Recentemente, la Cina ha azzerato le esportazioni di antimonio verso l’Unione Europea, invocando motivazioni legate alla sicurezza nazionale.
Non si tratta più solo di una disputa commerciale. È un confronto geopolitico che si gioca sulle catene di approvvigionamento.
Sebbene le nuove restrizioni prendano di mira esclusivamente gli Stati Uniti, gli analisti ritengono che il messaggio sia indirizzato anche agli alleati di Washington. Il provvedimento potrebbe spingere governi europei e asiatici a rivedere la propria dipendenza dalla Cina in ambito minerario.
Gli esperti si aspettano che le nuove restrizioni cinesi accelerino gli sforzi per diversificare le fonti. I paesi occidentali stanno rafforzando i rapporti con partner minerari e raffinatori in Australia, Canada e Africa. Tuttavia, questi progetti sono ancora lontani dalla piena operatività e richiedono investimenti consistenti.
Una guerra commerciale combattuta con i minerali
La guerra commerciale USA-Cina ha ormai superato i confini dei dazi doganali e dei divieti tecnologici. I minerali critici, un tempo questione tecnica e marginale (ma che una testata giornalistica come la nostra ha sempre evidenziato come essenziale per l’Occidente), sono ora al centro di uno scontro economico che ha implicazioni strategiche di vasta portata.
La capacità della Cina di destabilizzare intere filiere industriali attraverso il controllo delle risorse dimostra quanto la geopolitica moderna possa dipendere dai materiali fondamentali. Per Stati Uniti e alleati, questo nuovo fronte rappresenta un grosso problema.
Se non si accelera il processo di diversificazione e produzione interna, l’Occidente rischia di rimanere ostaggio in un conflitto dove le poste in gioco non sono più solo economiche, ma decisive per l’equilibrio geopolitico globale.
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