Il settore globale dei diamanti sta attraversando una crisi senza precedenti. Non si tratta di un semplice rallentamento, ma di un vero e proprio “smantellamento”. Il comparto sta disfacendosi sotto il peso di ricavi in caduta libera e crescenti dubbi sulla rilevanza culturale ed economica dei diamanti.
I dati più recenti confermano la gravità della situazione. De Beers, il maggiore produttore mondiale di diamanti per valore e fiore all’occhiello del colosso Anglo American, ha registrato un crollo del 44% dei ricavi e ha accumulato 2 miliardi di dollari in scorte invendute. La società ha annunciato il taglio di oltre 1.000 posti di lavoro presso la joint venture Debswana, fulcro dell’economia del Botswana.
Non va meglio altrove. Alrosa, il gigante russo del settore, ha visto i profitti precipitare del 77% a causa delle sanzioni internazionali, bloccando alcune delle sue miniere principali. Petra Diamonds ha perso il CEO dopo un calo del 30% nelle vendite e sta vendendo asset per sopravvivere. In Australia, Lucapa è entrata in amministrazione controllata, mentre in Sierra Leone la Koidu Limited ha chiuso i battenti e licenziato oltre 1.000 dipendenti a seguito di scioperi che hanno causato 16 milioni di dollari di perdite.
Cambiamento culturale e crisi strutturale
Non sono crisi isolate, ma segnali di un’industria ormai fuori sincrono con i tempi. I costi operativi, il valore simbolico e i fondamenti geopolitici dell’industria del diamante non reggono più. L’idea romantica del diamante come simbolo di eternità e rarità ha perso appeal in un’epoca che chiede sostenibilità, tracciabilità ed etica.
Eppure, non tutti vedono in questa crisi la fine del settore. L’analista Paul Zimnisky offre una visione meno catastrofica. “È stato un periodo doloroso, specialmente negli ultimi tre anni,” afferma. Le cause? Un rimbalzo post-Covid dopo i record del 2021-2022, la crisi del lusso in Cina e la crescita dei diamanti sintetici. Secondo Zimnisky, la fine di queste pressioni potrebbe far ripartire il mercato. Ma avverte: senza una forte spinta di marketing, il rischio di stagnazione è alto.
De Beers in bilico: ritorno alle origini
Tutti gli occhi ora sono puntati su De Beers. Simbolo per decenni della scarsità costruita e del marketing aggressivo, la società è in vendita. Anglo American ne ha ridotto la valutazione di 4,5 miliardi di dollari in poco più di un anno e nessun acquirente si è fatto avanti.
Nel tentativo di rilanciarsi, De Beers ha chiuso il suo brand di gioielli con diamanti sintetici, Lightbox, per concentrarsi nuovamente sui diamanti naturali e sulla narrazione che li ha resi iconici: “Diamonds are Forever”. Una mossa che punta a riaffermare la centralità del prodotto originale in un contesto profondamente cambiato.
Una nuova narrativa per un nuovo pubblico
Il settore sta cercando di conquistare nuove generazioni, come i cosiddetti Zillennials, nati tra il 1993 e il 1998. De Beers e Signet hanno lanciato campagne mirate per attrarre questo segmento, cercando di rinnovare l’interesse verso il settore.
Alcuni propongono di presentare i diamanti come asset stabili e commerciabili. Ma secondo Zimnisky, questa visione è limitata: “I diamanti non sono fungibili come l’oro. C’è più attrito nel mercato secondario. Tuttavia, le pietre più rare e di qualità continueranno a essere considerate riserve di valore.”
Per economie fortemente dipendenti dal settore, come quelle di Botswana, Canada, Namibia, Angola e Russia, i rischi sono elevati. “Il marketing è ora centrale — è un prodotto di lusso e va presentato come tale,” conclude Zimnisky. “Tutti gli attori devono contribuire a costruire una nuova narrazione.”
L’era del diamante come simbolo indiscusso di lusso, radicata in miti e monopoli, sembra al tramonto. Il futuro del settore richiederà più trasparenza, sostenibilità e aderenza ai valori contemporanei. Il suo splendore non è scomparso, ma ha bisogno di una nuova ragione per brillare.
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