Missili in cielo, onde sui mercati: lo scontro tra Israele e Iran mette in crisi l’oro nero

L’escalation tra Israele e Iran riaccende i timori di una crisi energetica globale. Il rischio concreto di un blocco dello Stretto di Hormuz, crocevia del 30% del petrolio marittimo mondiale, potrebbe far impennare i prezzi e destabilizzare i mercati.

Il massiccio attacco israeliano sulla base delle accuse relative al programma nucleare iraniano sta scatenando un’ondata di preoccupazione nei mercati dell’energia, mentre il rischio di una crisi globale dell’oro nero è sempre più concreto.

L’area mediorientale, già da tempo instabile, è ora sull’orlo di una crisi che potrebbe avere ripercussioni pesantissime sull’economia mondiale.

Se l’Iran chiude lo Stretto di Hormuz le conseguenze potrebbero essere disastrose per il traffico marittimo

Tra i principali punti critici del commercio petrolifero lo Stretto di Hormuz si conferma il più vulnerabile. Da questo passaggio marittimo strategico transitano, secondo le stime del 2025, ben 13,2 milioni di barili di petrolio al giorno. Un’interruzione qui avrebbe effetti devastanti sul mercato, portando a rialzi esplosivi dei prezzi e a una potenziale paralisi dei traffici energetici globali. Se fino a qualche mese fa lo scenario della chiusura di Hormuz era ritenuto possibile ma non probabile, adesso le cose stanno cambiando in peggio.

In un’area così delicata, anche altri snodi non sono immuni dai rischi. Il Canale di Suez (4,1 milioni di barili al giorno) e Bab al-Mandab (2,9 milioni di barili al giorno) rappresentano ulteriori colli di bottiglia che, se colpiti da azioni militari o sabotaggi, potrebbero aggravare ulteriormente la crisi in corso.

Le infrastrutture energetiche sono a rischio

Gli ultimi sviluppi indicano che infrastrutture chiave in Iran, come oleodotti, terminali e raffinerie, sono a rischio di attacchi diretti o di sabotaggi mirati. Le potenziali rappresaglie iraniane, dal canto loro, potrebbero prendere di mira petroliere e impianti nel Golfo, colpendo non solo l’Israele ma anche i suoi rivali regionali, con l’intento di destabilizzare il mercato e guadagnare leva strategica.

Secondo i dati aggiornati al primo semestre del 2025, l’Iran produce circa 3,5 milioni di barili al giorno, una cifra consistente ma inferiore rispetto ai giganti come l’Arabia Saudita (oltre 9,5 milioni) e l’Iraq (4,5 milioni). Tuttavia, ciò che preoccupa maggiormente è la concentrazione della produzione: nella regione si estraggono complessivamente 26,6 milioni di barili al giorno, pari al 32% della produzione globale, mentre la capacità di raffinazione locale rappresenta il 13% di quella mondiale. Tutto questo in un’area geopoliticamente fragilissima.

Le riserve di capacità non bastano a tranquillizzare e i mercati ballano

Anche se alcuni paesi della regione dispongono di capacità inutilizzata – l’Arabia Saudita in primis, con circa 6 milioni di barili al giorno – la possibilità di utilizzarla rapidamente in caso di crisi è limitata. Gli Emirati Arabi Uniti (1,5 milioni di barili/giorno inutilizzati) e il Kuwait (1 milione) non rappresentano una garanzia assoluta in caso di interruzione prolungata del traffico marittimo.

Per gli operatori di mercato, questa fase è caratterizzata da un’altissima volatilità. I future sul Brent e sul WTI stanno mostrando ampie oscillazioni, mentre i premi di rischio per le spedizioni nella regione stanno aumentando. Le compagnie assicurative stanno rivedendo al rialzo i costi per le navi in transito attraverso lo Stretto di Hormuz e le aree adiacenti, mentre i trader sono sempre più orientati verso strategie di copertura e diversificazione degli approvvigionamenti.

In un contesto così instabile, diventa fondamentale per gli operatori ridurre la dipendenza dalle rotte mediorientali, puntando su fonti alternative e su una logistica più flessibile. Ma, al di là delle strategie individuali, il rischio sistemico rimane elevato, e ogni nuova fiammata del conflitto tra Israele e Iran potrebbe avvicinare ulteriormente uno shock energetico globale.

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