La più grande miniera di ferro del mondo sta prendendo forma nel cuore della Guinea e racconta molto più di una semplice operazione industriale. Simandou è diventata il simbolo di come la Cina sia disposta ad affrontare rischi logistici, politici e finanziari pur di assicurarsi risorse strategiche e ridurre la dipendenza dall’Occidente.
Il potenziale di Simandou era noto da decenni. Già negli anni Novanta, le perforazioni esplorative avevano rivelato concentrazioni di minerale di ferro tra le più elevate mai individuate. Eppure il progetto è rimasto a lungo bloccato. La distanza dall’Atlantico, oltre seicento chilometri di foresta tropicale, e un contesto politico instabile hanno frenato gli investimenti. Neppure l’ingresso di nuovi attori privati, dopo il ridimensionamento del ruolo di Rio Tinto, è riuscito a sbloccare la situazione.
L’approccio cinese e la svolta
La svolta è però arrivata quando entra in scena il gruppo Winning International, guidato dall’imprenditore cinese Xiushun Sun. Forte dell’esperienza maturata nel settore della bauxite in Guinea, Sun adotta una strategia basata su infrastrutture, affidabilità e rapporti diretti con il governo. La logica è semplice quanto efficace: investire prima, dimostrare impegno sul campo e trasformare la fiducia politica in accesso alle risorse.
Il cambio di governo nel 2021 accelera il processo. Nasce così una joint venture per realizzare una ferrovia trans-guineana che colleghi l’entroterra minerario alla costa. Il progetto vede una spartizione quasi paritaria tra il consorzio sino-guineano e quello legato a Rio Tinto e Chinalco, con lo Stato che mantiene una quota decisiva.
Un’infrastruttura senza precedenti
In pochi anni, il progetto si trasforma in un colossale cantiere. Centinaia di chilometri di binari attraversano il paese, accompagnati da stazioni, ponti e tunnel. Alla fine della linea, sull’Atlantico, nasce un nuovo porto in acque profonde. È un salto infrastrutturale che la Guinea non aveva mai conosciuto e che consente finalmente di portare il minerale sui mercati globali.
Con l’avvio della ferrovia e la partenza delle prime navi cariche di minerale verso l’Asia, la Cina ottiene un risultato strategico importante e cioè un nuovo flusso di approvvigionamento che riduce il peso delle forniture australiane e indebolisce il ruolo dominante dei grandi operatori occidentali.
Un impatto sul mercato globale del ferro
Simandou non è solo una questione di volumi, ma anche di qualità. Il minerale estratto presenta un grado di purezza elevato, un fattore sempre più rilevante per un’industria siderurgica chiamata a ridurre le emissioni di CO₂. L’ingresso sul mercato di una produzione su larga scala potrebbe modificare gli equilibri globali, mettendo sotto pressione i produttori con costi più alti o qualità inferiori.
Secondo le analisi di settore, a regime la miniera potrebbe coprire una quota significativa dell’offerta mondiale. Questo scenario favorisce chi può contare su efficienza e qualità, mentre penalizza paesi e operatori meno competitivi. In questo senso, la presenza cinese in Africa risponde a una logica industriale oltre che geopolitica.
Guinea tra sovranità e pragmatismo
Nonostante la forte presenza di capitali stranieri, la Guinea cerca di mantenere il controllo del proprio destino. La partecipazione statale nella società che gestisce la ferrovia e le clausole di trasferimento futuro delle infrastrutture testimoniano la volontà di non rinunciare alla sovranità. Anche sul piano tecnologico, il paese mostra una certa assertività, imponendo fornitori occidentali per componenti chiave e dimostrando di non voler dipendere esclusivamente da Pechino.
Simandou diventa così un caso emblematico con una miniera che nasce dall’intreccio di interessi globali, ma che potrebbe ridisegnare il ruolo della Guinea nello scacchiere africano e quello della Cina nel mercato mondiale delle materie prime.
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