Gli Stati Uniti sperano di recuperare parte delle enormi somme spese per sostenere l’Ucraina nella guerra contro la Russia attraverso lo sfruttamento delle risorse minerarie del paese, in particolare dei metalli rari (terre rare comprese). Il piano prevede la creazione di un Reconstruction Investment Fund, alimentato dai ricavi derivanti dallo sfruttamento delle risorse naturali statali ucraine, come terre rare, minerali critici, gas e petrolio. Secondo una stima di Al Jazeera, l’Ucraina contribuirebbe al fondo con il 50% dei ricavi, ma resta oscuro chi fornirà il resto e quale sarà il reale controllo degli Stati Uniti su queste risorse.
Il piano ha, tuttavia, due problemi fondamentali: molte delle risorse si trovano in territori occupati dalla Russia e, ancor più critico, le terre rare non solo sono difficili da trovare in quantità economicamente rilevanti, ma richiedono processi lunghi e costosi per essere trasformate in ossidi puri, utilizzabili in settori ad alta tecnologia, dalla difesa alle batterie per veicoli elettrici.
Trump ha affermato che gli Stati Uniti avrebbero speso oltre 350 miliardi di dollari per sostenere l’Ucraina,. In realtà, secondo l’autorevole Kiel Institute for the World Economy, il totale dell’assistenza americana — militare, finanziaria e umanitaria — si aggira attorno ai 118 miliardi di dollari. Il Pentagono, invece, stima la spesa totale a 183 miliardi, includendo il costo per rimpiazzare le scorte militari inviate a Kiev.
Quali e quante risorse ha davvero l’Ucraina?
L’Ucraina è uno dei paesi più ricchi d’Europa in termini di risorse minerarie. Secondo il Ministero dell’Economia ucraino, il paese possiede depositi di 22 dei 34 minerali ritenuti critici dall’Unione Europea, inclusi titanio, zirconio, grafite, litio e diverse terre rare. Si stima che le riserve ucraine di litio, essenziali per le batterie, siano tra le maggiori del continente.
Secondo Visual Capitalist, l’Ucraina conterrebbe risorse minerarie per un valore di circa 15.000 miliardi di dollari, pari al 5% delle risorse minerarie globali. La ricchezza del sottosuolo comprende 23 dei 50 materiali ritenuti strategici dal governo statunitense, come titanio, grafite, berillio e ovviamente elementi delle terre rare.
Il problema è che oltre il 50% di queste risorse si trovano in regioni oggi parzialmente o totalmente controllate dalla Russia: Luhansk, Donetsk, Zaporizhzhia e Kherson. Solo in queste aree, secondo il britannico The Independent, si concentrano risorse per oltre 6.000 miliardi di sterline. A esse si aggiungono i giacimenti in Crimea, annessa da Mosca nel 2014, e nella regione di Dnipropetrovsk, oggi minacciata da vicino dall’esercito russo.
Secondo il Center for International Relations and Sustainable Development, prima della guerra, l’Ucraina aveva censito 20.000 depositi minerari, di cui 8.700 già provati, contenenti 117 dei 120 metalli più usati al mondo. Tuttavia, circa il 40% delle risorse metalliche si trova oggi in aree sotto controllo russo.
Le terre rare ucraine, tra mito e realtà
Nonostante la grande attenzione mediatica, l’Ucraina non figura neppure tra i primi 12 paesi al mondo per riserve accertate di terre rare (dati US Geological Survey). I depositi noti — come Yastrubetske, Novopoltavske, Azovske e Mazurivske — sono quasi tutti in zone occupate. E non è chiaro quanto siano realmente sfruttabili: molte stime risalgono all’epoca sovietica e non sono supportate da dati geologici moderni.
Erik Jonsson, geologo del Servizio Geologico Svedese, definisce i depositi “non rilevanti”, anche perché dominati da minerali come la britholite, per i quali non esistono processi consolidati di estrazione delle terre rare. Ancora più netto è Jack Lifton, del Critical Minerals Institute: “Se volete minerali critici, l’Ucraina non è il posto giusto. È una fantasia. C’è dell’altro dietro questo progetto”.
L’estrazione è solo l’inizio: il vero valore sta nella raffinazione
La separazione delle terre rare è una delle operazioni più complesse e costose nel settore minerario. Dopo la frantumazione del minerale, servono processi chimici sofisticati per separare i diversi elementi, spesso con centinaia di passaggi in vasche e soluzioni chimiche. Alcuni elementi pesanti richiedono mesi di lavorazione per ottenere un ossido puro utilizzabile.
A ciò si aggiungono ostacoli non tecnici: burocrazia farraginosa, accesso difficile ai dati geologici, problematiche legate ai diritti fondiari. Secondo The Independent, servirebbero anni e investimenti multimiliardari per avviare qualsiasi progetto minerario significativo di questo tipo in Ucraina.
Il sogno americano di ripagarsi la guerra con i minerali ucraini appare, nei fatti, un’illusione geopolitica. Le risorse ci sono, ma sono in gran parte irraggiungibili o troppo complesse da sfruttare. In assenza di solide garanzie di sicurezza e con un sistema industriale poco sviluppato per la raffinazione dei materiali critici, il “minerals deal” rischia di restare più uno strumento di propaganda che un vero piano industriale.
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