Uber: innovazione e regolamenti non vanno proprio d’accordo

La crescita di Uber, la giovanissima società californiana che offre un servizio di taxi economico e innovativo, continua senza soste. Così come le battaglie legali nei tribunali di mezzo mondo per affermare il primato dell’innovazione.

L’ascesa di UBER ha dello straordinario. 

La società nata dal nulla nel 2009 a San Francisco ha invaso più di 200 città in tutto il mondo e raggiungerà un fatturato annuo di 10 miliardi di dollari, tanto quanto Facebook. Cresce ad un ritmo del 300% all’anno ed ogni mese crea lavoro per 50.000 nuove persone in tutto il mondo.

UBER consente agli utenti di organizzare servizi di taxi o di limousine utilizzando una semplice applicazione da smartphone. UBER non fornisce ne veicoli ne autisti, ma funziona con gli utenti dell’applicazione, già in possesso di una patente di guida e di un veicolo autorizzato alla circolazione. I clienti di questo nuovo servizio di taxi, utilizzano lo smartphone per ordinare una corsa e per pagarla. Alla fine della corsa possono anche dare un punteggio al conducente.

A ben vedere UBER non ha inventato nulla di particolarmente nuovo. La piattaforma software utilizza tecnologie che già esistevano e il servizio di taxi è vecchio quanto l’automobile. Nulla, in ogni caso, che non potesse essere già stato attuato dai servizi di taxi esistenti.

La gestione virtuale e la condivisione di servizi che sfruttano dispositivi mobili onnipresenti permettono l’utilizzo di competenze e beni che rimarrebbero altrimenti improduttivi

Tuttavia, taxi e limousine, anzichè rispondere ad un nuovo tipo di concorrente virtuale con prodotti e servizi migliori, hanno scelto di combattere UBER cercando di vietarne l’esistenza.

Hanno chiesto a gran voce ai regolatori dello Stato di dichiarare il servizio di UBER  illegale e fuorilegge, appellandosi a leggi vecchie di decenni in un settore iper-regolamentato da obsoleti concetti come quello di licenza.

La società ha speso gran parte della sua giovane vita combattendo nei tribunali di tutto il mondo contro funzionari statali, pagati da uffici di pubblica utilità, per poter offrire a tutte le persone un semplice ed economico servizio.

Da un punto di vista economico, la gestione virtuale e la condivisione di servizi che sfruttano dispositivi mobili onnipresenti permettono l’utilizzo di competenze e beni che rimarrebbero altrimenti improduttivi. Con transazioni dal costo minimo si ottiene un miglioramento sociale complessivo. Un sogno coltivato nel lontano 1937 dal premio Nobel per l’economia Ronald A. Coase.

Ma allora perché i settori economici troppo regolamentati combattono così ferocemente l’innovazione? E perchè le autorità di regolamentazione preferiscono condannare gli innovatori senza prima aver dato la possibilità di provare nuovi approcci?

La risposta è semplice e disarmate: innovazione e regolamentazione non possono funzionare insieme.

Settori molto regolamentati, come per esempio quello degli avvocati, dei medici, dei notai, dei servizi di pubblica utilità (luce, acqua, gas)  e così via, si basano sul fatto di operare al di fuori del mercato. La concorrenza è vietata e anche criminalizzata. Dal momento che tutte le tecnologie innovative sono di fatto degli spietati concorrenti, sono direttamente o indirettamente vietate.

I servizi di taxi e limousine hanno sempre operato in una economia non di mercato perché, fino ad ora, i benefici di eliminare la concorrenza superavano i costi. Varrebbe però la pena di riprendere in esame questi costi e questi benefici per capire se, grazie alla disponibilità di nuove tecnologie dirompenti, qualcosa è cambiato.

A molte persone non è per nulla chiaro quali sono le reali potenzialità di ottenere miglioramenti esponenziali in termini di qualità, prezzo ed efficienza tramite le nuove tecnologie. Potenzialità che non potranno esprimersi finchè verranno invocate regole e regolamenti per intrappolare l’innovazione.

Con UBER potrebbe essere arrivata l’occasione per dare finalmente una prova di innovazione.

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