Il picco del petrolio è una cosa che viene definita una “teoria”, in senso dispregiativo.
Ma il concetto non è solo una teoria; i picchi di produzione sono fatti storicamente osservati che si verificano non solo per il petrolio, ma per qualsiasi risorsa naturale che venga sfruttata oltre la sua capacità di riformarsi (“Petrolio greggio: quanto può salire? “).
Non solo i picchi sono un fenomeno comune, ma spesso possono anche essere previsti con una certa precisione. È il caso di due dei maggiori eventi di questo tipo; il picco del petrolio negli Stati Uniti nel 1970 e il picco mondiale del petrolio “convenzionale” nel 2005-2006. Il primo è stato previsto da Marion King Hubbert nel 1956, il secondo da Campbell e Laherrere nel 1998.
Eppure, nonostante la buona precisione di queste previsioni, i “picchisti” vengono spesso presi di sorpresa quando questi picchi non portano ad un declino dell’offerta di combustibili. Il picco statunitense del 1970 è stato compensato dall’aumento delle importazioni di petrolio e da un grande passaggio al carbone per la produzione di elettricità. Il picco mondiale del 2005-2006 è stato compensato dall’aumento della produzione di petrolio non convenzionale, in particolare di tight oil (chiamato comunemente petrolio di scisto). Alla fine, nessuno di questi picchi è stato, per la specie umana, il grande punto di svolta che alcuni avevano previsto.
Oggi, siamo di fronte ad un nuovo picco. Il collasso dei prezzi del petrolio della fine del 2014 è un’indicazione del fatto che il mercato non riesce ad assorbire il petrolio non convenzionale abbondante – ma caro – che può essere teoricamente prodotto. Il risultato è il picco dei liquidi che è in arrivo al massimo entro pochi anni, secondo Arthur Berman. Ma, proprio come è successo in passato, l’industria non se ne starà con le mani in mano. Cercherà attivamente nuove risorse per mantenere la produzione costante. Il picco del petrolio può essere ancora una volta ingannato, almeno per qualche tempo?
Come è risaputo, le previsioni sono difficili, specialmente quando riguardano il futuro. Ma sembra evidente che, là fuori, qualcosa si sta muovendo e vengono esplorate “nuove soluzioni” per contrastare il declino incombente dei combustibili liquidi.
L’enfasi sull’energia nucleare dell’ultimo rapporto della IEA è un segno dei tempi. Ma il nucleare non produce combustibili liquidi e i costi e le complicazioni associate lo rendono un improbabile salvatore del mondo. La stessa cosa si può dire dei bio-combustibili: inefficienti e consumatori di terreni agricoli, hanno già raggiunto i loro limiti pratici. Piuttosto, l’industria petrolifera è sempre stata brava a strizzare combustibili liquidi dalle fonti più sporche possibili. Le sabbie bituminose rimangono una risorsa potenzialmente ampia, ma il loro sfruttamento è enormemente costoso. Forse è più probabile che il nuovo “miracolo” si possa trovare nel processo di liquefazione del carbone.
Trasformare carbone in liquidi è un’idea vecchia e negli anni 40 i tedeschi hanno alimentato tutta la loro macchina da guerra usando combustibili sintetici prodotti dal carbone. È stata una produzione piccola in confronto a quello di cui abbiamo bisogno oggi, ma mostra che, in una situazione di emergenza, il carbone può venire in soccorso.
Fare combustibili dal carbone è stato preso in considerazione durante la prima crisi petrolifera degli anni 70, anche se è risultato che non fosse necessario. Poi, nel suo rapporto del 2005, Robert Hirsch ha suggerito che il picco del petrolio poteva essere scongiurato da un programma intensivo – fra le altre cose- di liquefazione del carbone. La tecnologia è nota, alcuni impianti sono in funzione già ora, Wikipedia elenca 6 impianti in funzione negli Stati Uniti ed altri 6 al di fuori degli Stati Uniti. Molti altri sono pianificati.
Così, se un programma intensivo sul carbone dovesse partire ora, potrebbe produrre una buona parte della domanda statunitense in 10 anni, circa 5 milioni di barili al giorno (immagine sotto dal rapporto Hirsch), un impatto simile a quello ottenuto dal petrolio di scisto in un periodo di tempo analogo.
È davvero possibile? Vedremo una corsa al carbone simile alla corsa allo scisto che abbiamo visto durante più o meno l’ultimo decennio? Non si può escludere. Le riserve mondiali di carbone sono – teoricamente – molto grandi, ma il fatto che siano o meno estraibili è un’altra questione. Prima che questo venga accertato, tuttavia, non è improbabile che il sistema finanziario possa essere convinto a buttare grandi quantità di soldi nella nuova avventura, potenzialmente molto redditizia, della liquefazione del carbone.
Il problema vero è, naturalmente, che cercare di sostituire il petrolio col carbone significherebbe portare l’atmosfera terrestre ben al di là del “punto di non ritorto” del cambiamento climatico. Significherebbe sacrificare un intero pianeta in cambio di poter guidare i nostri SUV per qualche anno in più. Eppure, la sete di combustibili liquidi è così forte, e il negazionismo della scienza del clima così diffuso e radicato, che è difficile pensare che la corsa al carbone possa essere fermata se – per disgrazia – dovesse dimostrarsi (o solo percepita come) economicamente redditizia.
Così, prima di abbandonare i combustibili liquidi ed ammettere che la sola via d’uscita è darsi alle rinnovabili, è del tutto possibile che dalle fucine sataniche di Sauron venga fuori qualche nuova mostruosità.
(articolo originale: “Fregare il picco del petrolio: ci riusciremo ancora una volta?“)