Ex Ilva, cassa integrazione per 6.000 lavoratori: scontro aperto tra governo e sindacati

Annunciata la cassa integrazione per 5.700 lavoratori dell’ex Ilva di Taranto, un numero destinato a salire a 6.000 a partire da gennaio. La decisione è stata comunicata ai sindacati dal ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, durante un vertice alla Presidenza del Consiglio. L’incontro si è concluso con l’interruzione del confronto da parte delle organizzazioni sindacali che hanno denunciato la mancanza di un piano di rilancio industriale.

Attualmente, i lavoratori in cassa integrazione sono 4.450, ma il numero crescerà già dal 15 novembre per effetto dello stop alle cokerie, motivato – secondo fonti governative – dal processo di decarbonizzazione dell’impianto. Da gennaio, con ulteriori sospensioni, si raggiungerà la soglia dei 6.000 lavoratori coinvolti. L’organico complessivo dello stabilimento di Taranto conta 7.938 addetti, tra operai, quadri e impiegati.

I sindacati hanno reagito duramente alla proposta del governo, accusandolo di voler chiudere di fatto il sito produttivo. Il segretario generale della Fiom, Michele De Palma, ha parlato di “piano di chiusura” e ha annunciato che Fim, Fiom e Uilm si rivolgeranno direttamente ai lavoratori per organizzare forme di mobilitazione. Anche il segretario della Uilm, Rocco Palombella, ha definito “inaccettabili” le proposte dell’esecutivo, accusandolo di voler “utilizzare i lavoratori per fare cassa” e di non aver fornito alcuna garanzia né sulle gare aperte né su un piano industriale concreto.

Dal canto suo, il governo ha espresso “rammarico” per l’interruzione del confronto, ribadendo la propria disponibilità a proseguire il dialogo con le parti sociali. In una nota, Palazzo Chigi ha sottolineato la volontà di approfondire anche i punti più controversi sollevati dai sindacati, nell’ottica di gestire la fase di transizione dell’azienda verso la decarbonizzazione.

Nonostante la disponibilità dichiarata dal governo, la distanza tra le parti resta profonda e il futuro dello stabilimento tarantino appare ancora incerto, tra il rischio di un ridimensionamento strutturale e l’assenza di una strategia industriale condivisa.

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