Il 2022 è stato negativo per il rame visto che ha perso circa il 12% del suo valore rispetto ad un anno fa. Il rallentamento economico cinese provocato dalle rigide restrizioni anti-Covid e un dollaro molto forte, hanno giocato a sfavore del metallo rosso.
Si tratta di una perdita abbastanza in linea con quella degli altri metalli industriali (alluminio -12% e minerale di ferro -11%) ma molto peggiore di quella dei metalli preziosi (oro -0,7%, argento +0,8%, palladio +5% e platino +5%).
Il periodo nero per il rame: aprile-luglio 2022
Dopo aver raggiunto il massimo storico di 11.000 dollari a tonnellata il 7 marzo, il metallo si è girato e, a metà luglio, ha toccato i minimi che si trovavano a -37% (6.900 dollari) dai picchi. Un periodo nero quello del secondo trimestre 2022, con la Cina che ha annunciato le restrizioni anti-Covid e la Federal Reserve americana (FED) che ha iniziato il suo ciclo di rialzo dei tassi.
Tuttavia, in questi ultimi mesi, il rame si è ripreso anche grazie ad un dollaro più debole e alle speranze di una riapertura della Cina (attualmente, 9 dicembre, il contratto LME a 3 mesi quota 8.525 dollari a tonnellata).
Da novembre gli speculatori scommettono al rialzo
Inoltre, a partire da novembre, il sentiment del mercato del rame è cambiato radicalmente e i grandi speculatori (che operano principalmente con i futures) si sono spostati dalle scommesse al ribasso a quelle al rialzo. Attenzione però, le posizioni degli speculatori sono soltanto leggermente rialziste, molto lontane da quelle prese alla fine del 2020, quando il mercato era pesantemente sbilanciato al rialzo.
Partendo da queste condizioni, le previsioni di domanda e offerta indicano un sostanziale equilibrio nel 2023, anche se le scorte di rame sono a livelli estremamente bassi. Questo si traduce nel fatto che qualsiasi aumento dei consumi imprevisto o qualsiasi interruzione della produzione potrebbe causare grosse oscillazioni dei prezzi.
Recessione in Occidente? Riapertura dell’economia cinese?
Da una parte l’Occidente è sull’orlo di una recessione che spingerà i prezzi del rame verso il basso, dall’altra c’è la possibilità che in Cina riparta l’economia, trascinando le quotazioni del metallo rosso in alto. Tra questi due estremi, gli analisti pensano che le probabilità di un rialzo per il 2023 siano leggermente maggiori di quelle di un ribasso.
Secondo le più recenti proiezioni di Fitch, la domanda globale di rame primario dovrebbe aumentare di circa il 2% nel 2023 (più o meno lo stesso che nel 2022), mentre la produzione mineraria dovrebbe aumentare di circa il 4%. Ma il mercato del rame si troverà in una condizione senza precedenti in questo secolo e cioè con scorte quasi esaurite a livello globale. Nei magazzini LME (London Metal Exchange) ci sono solo due giorni di consumo mondiale di rame, mentre anche i livelli di scorte del SHFE (Shanghai Futures Exchange) e del COMEX (Chicago Mercantile Exchange) sono pericolosamente bassi.
Comunque, per quanto riguarda la domanda e l’offerta sono due i fattori critici per il 2023. Il primo sono gli sviluppi politici in Sud America, in particolare in Cile e Perù (insieme producono il 40% del rame mondiale). Le proteste e gli scioperi dei lavoratori potrebbero fermare la produzione in un momento in cui la domanda è in aumento e le scorte globali di rame sono ai minimi storici. Questo potrebbe scatenare un rialzo dei prezzi del rame. Il secondo fattore è l’economia statunitense che, se entrasse in recessione (quella europea è dato per certo che si contrarrà), produrrà un effetto ribassista sul metallo.
Prevale un cauto ottimismo per i prezzi del rame nel 2023
Quindi, soppesando i fattori rialzisti e ribassisti discussi sopra, gli analisti credono che ci siano migliori probabilità che i primi possano avere la meglio nel 2023, cosa che spingerebbe ad essere ottimisti per i prezzi del rame.
Affidandoci all’analisi tecnica, se i prezzi supereranno gli 8.650 dollari dovremmo vedere un rialzo tra 8.800 e 9.000 dollari nel primo trimestre del 2023. Le possibilità del rame di raggiungere la zona di 8.800 dollari e di frantumarla aumenteranno quanto prima la Cina annuncerà l’apertura della sua economia. Se così fosse, durante i primi sei mesi del prossimo anno, potremmo vedere i prezzi a 10.200 dollari.
Lo scenario meno probabile, cioè quello di un ribasso, ha nell’area tra 7.700 e 7.900 dollari un livello critico, che potrebbe essere infranto soltanto nel caso in cui il governo cinese mantenesse i blocchi all’economia e la FED continuasse imperterrita con una politica monetaria aggressiva che farebbe volare il dollaro verso l’alto e i metalli verso il basso.
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