Petrolio e geopolitica: gli scenari esplosivi di un’invasione USA del Venezuela

La produzione di petrolio pesante e acido del Venezuela, pari a 1-1,1 milioni di barili al giorno, è fondamentale per le raffinerie statunitensi e asiatiche. Qualsiasi interruzione potrebbe far impennare i prezzi del Brent e del gasolio.

Le tensioni intorno al Venezuela stanno rapidamente crescendo e, con esse, i rischi per il mercato globale dell’energia. Il presidente Nicolás Maduro ha chiesto apertamente aiuto a Russia, Cina e Iran per fronteggiare una possibile azione militare degli Stati Uniti. Dall’altra parte, la crescente presenza militare americana nella regione, ufficialmente giustificata con la lotta al narcotraffico, ricorda sinistramente i movimenti preparatori della Russia prima dell’invasione dell’Ucraina.

Fonti militari statunitensi indicano che un’azione contro Caracas avrebbe già ricevuto il via libera politico. Il presidente Trump, pronto a rivedere gli equilibri geopolitici dell’America Latina, sembra considerare tutti gli scenari, inclusi quelli che potrebbero sconvolgere i mercati petroliferi globali.

Il gigante fragile del petrolio

Il Venezuela possiede le maggiori riserve di greggio al mondo, circa 303 miliardi di barili pari al 17% delle riserve globali, ma produce appena 1-1,1 milioni di barili al giorno. È il paradosso di un colosso energetico in rovina: infrastrutture obsolete, sanzioni internazionali, carenza di investimenti e difficoltà tecniche nel trattare il greggio pesante ne hanno devastato la capacità produttiva.

Gran parte del petrolio venezuelano è destinato alla Cina o a joint venture con licenze statunitensi, ma il paese continua a lottare con una crisi economica e politica che ne soffoca ogni prospettiva futura. Eppure, i suoi barili contano più dei numeri dal momento che sono quelli più adatti per le raffinerie ad alta complessità della costa del Golfo degli Stati Uniti e di parte dell’Asia, costruite per lavorare greggi pesanti e acidi come quelli dell’Orinoco.

Cosa succede se scoppia il conflitto

Una limitata operazione militare o un blocco navale colpirebbero subito terminali di esportazione e impianti di upgrading, come quello di José, paralizzando i flussi di greggio e facendo impennare i premi assicurativi e i prezzi del Brent. I differenziali tra greggio pesante e leggero si allargherebbero, mentre i margini sul diesel schizzerebbero verso l’alto.

Uno scenario più prolungato, con attacchi mirati al settore industriale, danneggerebbe gli impianti chiave di Petropiar e PetroMonagas, aggravando la carenza di greggio pesante nell’Atlantico. L’OPEC+ potrebbe compensare in parte le perdite, ma la qualità del petrolio sostitutivo non sarebbe la stessa. Il risultato? Diesel più caro in Europa e minori rese nelle raffinerie statunitensi.

Se invece l’obiettivo fosse un cambio di regime, il caos sarebbe totale: blocco degli investimenti, collasso logistico, anni di lavori e miliardi di dollari per ricostruire un settore energetico distrutto.

Effetti a catena su Europa e Stati Uniti

Anche se alcuni analisti sostengono che oggi il mondo abbia troppo petrolio, la realtà è più complessa. Le raffinerie non funzionano con statistiche ma con molecole e il greggio leggero statunitense non può sostituire il pesante venezuelano senza impatti sui rendimenti.

Già ora le raffinerie del Golfo americano stanno aumentando le importazioni di residui e fuel oil per compensare la minore disponibilità di greggio pesante russo e venezuelano. In Europa, che compra petrolio a prezzo globale, ogni perturbazione in Venezuela si traduce in costi più alti per le industrie e per i consumatori.

Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, l’Europa ha fatto sempre più affidamento su diesel e benzina americani. Ma se le raffinerie statunitensi dovessero rallentare, l’effetto domino sui prezzi dei carburanti sarebbe immediato. Le forniture da Medio Oriente e India potrebbero attenuare il colpo, ma a costi più elevati e in un contesto di sanzioni in continua evoluzione.

La lezione della geopolitica energetica

Ogni crisi che coinvolge un fornitore di greggio pesante dimostra che, nei primi mesi di un conflitto, contano più la chimica e la geografia che che gli equilibri globali. Per l’Europa, diversificare le fonti, rafforzare le scorte e pianificare la logistica diventa quindi una priorità strategica.

Come ricordava Eisenhower, “i piani sono inutili, ma la pianificazione è indispensabile”. La domanda non è più se gli Stati Uniti agiranno contro il Venezuela, ma quando. E le conseguenze, economiche e geopolitiche, potrebbero estendersi ben oltre il mercato dell’energia, coinvolgendo Russia, Cina e Iran in un nuovo e pericoloso gioco globale.

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